Koyo Kouoh alla Biennale Arte, il senso di una scelta da istituzione

2 settimane fa

Milano, 6 dic. (askanews) – Era una scelta molto attesa, perché rappresentava in un certo senso il primo atto “forte” della presidenza di Pietrangelo Buttafuoco alla Biennale di Venezia, una sorta di manifesto della visione che informa e, si suppone, informerà il suo mandato. La nomina di Koyo Kouoh, curatrice nata in Camerun nel 1967 e poi cresciuta in Svizzera, alla direzione della Biennale Arte del 2026 può avere sorpreso, spesso in tono positivo, alcuni commentatori. Ma, guardata a freddo, era probabilmente – nella tipologia e nella modalità di scelta, non nel singolo nome – la strada in assoluto più probabile.

Perché è stata la scelta dell’istituzione Biennale di Venezia, prima che del suo presidente o consiglio di amministrazione, la scelta di un soggetto culturale basato in Italia, ma profondamente internazionale, che da anni porta avanti una politica di dialogo con il mondo che ne ha riconsolidato lo status a livello globale e ha permesso alla Biennale di essere ancora rilevante all’interno del più grande Sistema dell’arte. Che, basti guardare per esempio un indicatore divulgativo come la classifica dei Power 100 di Art Review, la cui ultima edizione è fresca di pubblicazione e nella quale Kouoh è in 16esima posizione, per capire che ciò di cui si parla è un mondo globale, plurale, dedito a sostenere i concetti di diversità, inclusione e diversità. Temi che hanno sostenuto la Biennale Arte di Adriano Pedrosa che si è appena conclusa e che appartengono alla visione dell’istituzione veneziana già da molti anni e che le precedenti presidenze di Baratta e Cicutto hanno sostenuto con determinazione.

Per questi motivi oggi, sicuramente anche con il più facile senno di poi, è possibile dire che una scelta alla Kouoh era pressoché inevitabile, in quanto naturale nel seno dell’istituzione. A Buttafuoco va riconosciuta l’interpretazione istituzionale e la costruzione di una sua postura all’interno dell’identità contemporanea della Biennale di Venezia, nonché la scelta di un profilo alto e consapevole del ruolo. In un sistema della politica culturale italiana che spesso, come testimoniato dalle cronache degli ultimi mesi, ha dato un’immagine di sé che comprendeva rivelazioni scandalistiche o atteggiamenti di occupazione e polemiche su nomine e incarichi, da Venezia arriva un messaggio diverso, in linea con lo “standing” della Biennale, che oggi è bello pensare sia qualcosa di acquisito.

Koyo Kouoh, prima donna africana a dirigere la Mostra Internazionale d’arte, è dal 2019 direttrice esecutiva e Chief Curator dello Zeitz Museum of Contemporary Art Africa (Zeitz MOCAA) a Città del Capo, in Sudafrica. È stata direttrice artistica fondatrice di RAW Material Company, un centro per l’arte, la conoscenza e la società a Dakar, Senegal. Ha fatto parte del team curatoriale di documenta 12 (2007) e documenta 13 (2012). Nel 2020 ha ricevuto il Grand Prix Meret Oppenheim, premio svizzero che riconosce successi nei campi dell’arte, dell’architettura, della critica e delle esposizioni. Vive e lavora tra Città del Capo, Sudafrica; Dakar, Senegal; Basilea, Svizzera.

Attenta ai temi del femminismo, della sessualità, della valorizzazione di artiste e artisti africani, è chiamata ora a una sfida complessa come quella della Biennale Arte. Al netto di tutte le considerazioni sul senso e il valore della sua nomina, da oggi inizia il percorso per “fare” la sua Biennale e rinnovare, una volta di più, il discorso sull’arte e il contemporaneo nel nostro presente liquido e digitale.

(Leonardo Merlini)

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