Kissinger – teorico delle relazioni internazionali. Il problema dell’ordine e la guerra in Ucraina

Articolo di Gabriele Natalizia, uscito su Formiche.net

In occasione dei cento anni di Henry Kissinger, Formiche dedica uno speciale all’ex segretario di Stato degli Stati Uniti d’America, raccogliendo contributi e riflessioni su una delle personalità più influenti del Novecento. Qui ospitiamo il contributo di Gabriele Natalizia, docente di relazioni internazionali

“Prima di questa guerra ero contrario all’adesione dell’Ucraina alla Nato perché temevo che avrebbe avviato esattamente il processo a cui stiamo assistendo ora. Ora che il processo ha raggiunto questo livello, l’idea di un’Ucraina neutrale in queste condizioni non ha più senso”. A 100 anni compiuti le considerazioni – o, meglio, i suggerimenti – di Henry Kissinger continuano a generare dibattito, risultando ancora tra le più influenti nella foreign policy community americana (e, di conseguenza, in quella mondiale).

Se prima del conflitto e all’indomani del suo scoppio l’ex-segretario di Stato americano aveva manifestato una posizione decisamente avversa all’ipotesi della membership ucraina nella Nato, non diversamente da altri studiosi di Relazioni internazionali di scuola realista, ora invece lo prospetta come uno scenario razionale. Qual è la ragione di questo cambio di prospettiva?

I critici di Kissinger non si erano fatti attendere, sollevandogli immediatamente l’accusa di non perdere mai l’occasione per confermarsi quel cinico realpolitiker che ha più volte indotto gli Stati Uniti a compiere alcune scelte efficaci ma particolarmente controverse – almeno se giudicate con i parametri della morale – ai fini della vittoria nella titanica partita della Guerra fredda. I suoi sostenitori, al contrario, hanno ricordato che – come sempre – le proposte di Kissinger sono ispirate da un profondo senso di moderazione. In tal prospettiva, l’uomo di stato dovrebbe seguire la weberiana “etica della responsabilità” – che pondera le scelte politiche in funzione delle loro conseguenze prevedibili nel medio-lungo termine – piuttosto che la cosiddetta “etica della convinzione” – che ne giudica le politiche attraverso categorie morali.

Nelle pluridecennali querelle in cui Kissinger si è trovato al centro, spesso e volentieri molto dello stupore manifestato sia dai suoi detrattori che dai suoi simpatizzanti deriva dal fatto che buona parte di essi si concentra sul “Kissinger-practitioner” delle relazioni internazionali, senza prestare la dovuta attenzione al “Kissinger-teorico” delle relazioni internazionali. In questa seconda veste, è stato l’autore di alcuni classici della letteratura scientifica, da A World Restored a World Order, passando per Diplomacy. I suoi saggi trovano il loro fil-rouge, anzitutto, nella convinzione che solo attraverso il conseguimento di un punto di equilibrio tra le grandi potenze sia possibile raggiungere l’ordine, almeno quello possibile in un ambiente “anarchico” come quello internazionale. Un ordine su cui c’è concordia risulta generalmente stabile, condizione dalla quale deriva la pace o, quanto meno, l’improbabilità dello scoppio di una guerra “maggiore”, ossia capace di coinvolgere tutti i “poli” del sistema internazionale in uno scontro la cui posta in gioco la ridefinizione stessa degli equilibri mondiali (come lo sono state le due Guerre mondiali o la Guerra fredda).

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