Ricordi che ricostruiscono vite: Biancamaria Bosco Tedeschini Lalli

24 February 2023

Il 31 gennaio 2023 il Centro Studi Americani ha ricordato la prof.ssa Biancamaria Bosco Tedeschini Lalli con un momento di commemorazione che è stato davvero molto sentito e partecipato.

Di questo ringraziamo tutti voi e vi lasciamo di seguito le trascrizioni di due degli interventi più belli della serata, quelli dei figli Mario e Paola Tedeschini.

Mario Tedeschini Lalli:

Sono quasi certo di aver frequentato queste sale in fasce.

Per testimonianze dirette, so di essere stato nutrito nella palazzina di via Boncompagni che ospitava allora la Commissione Fulbright e all’Università per Stranieri di Perugia, dove la commissione organizzava i seminari di orientamento per i borsisti americani.

E’ dunque assai probabile che la stessa cosa sia avvenuta anche qui.

D’altra parte, la storia personale e quella professionale di mia madre, Biancamaria, sono sempre state strettamente intrecciate – e il Centro studi americani di questo intreccio è luogo simbolo.

Oltre alle attività di studio e di animazione culturale che mamma vi ha svolto, Palazzo Antici Mattei è stato anche il luogo fisico di questo incrocio: dalla festa della Befana del 1953, cui partecipammo anche io e due delle mie sorelle, fino al ricevimento per le Nozze d’oro dei nostri genitori, nel 2000.

Per questo sono molto grato al Centro e a tutto il suo staff per questa occasione. Grazie veramente!

In questa biblioteca mamma preparò la sua tesi su Henry David Thoreau. Non sappiamo… o, meglio, io non so come sia arrivata a Thoreau, visto che a un certo punto aveva pensato di laurearsi in… tedesco (e fosse andata così, oggi non saremmo qui…)

Ma Thoreau non era il primo americano incontrato da mamma.

I primi in carne e ossa li vide a villa Borghese, il 5 giugno 1944, al momento della liberazione di Roma. Aveva 16 anni e girava per la città per sapere che ne fosse stato degli amici che avevano vissuto l’occupazione tedesca in clandestinità.

Mamma frequentava il liceo Mamiani, e aveva partecipato alla resistenza.

Lo racconto, perché non molti lo sanno e perché penso che il suo costante impegno per la democrazia non fosse l’ultima delle ragioni per le quali si è tanto occupata di America.

Mamma tendeva a sminuire quella sua partecipazione. Preferiva raccontarsi come la goffa adolescente che inciampa su Ponte Risorgimento spargendo un pacco di volantini, che una premurosa sentinella tedesca aiuta a raccogliere, senza comprenderne il contenuto.

Ma un po’ per volta ha raccontato che, tra l’altro…

  • faceva la colletta alimentare per i detenuti politici che non avevano famiglia a Roma
  • lanciava volantini dalla galleria dei cinema
  • era con altre donne a Regina Coeli per capire chi dei detenuti fosse stato ucciso alle Fosse ardeatine
  • il 16 aprile era a Santa Maria Maggiore per la messa e il comizio in memoria delle vittime dell’eccidio

Poi, appunto, venne la liberazione e la decisione di saltare l’ultimo anno di liceo in barba ai divieti del padre – facilitata dal fatto di poter studiare di notte, perché nel suo palazzo la corrente non mancava mai: al quinto piano, nell’appartamento dell’ex-segretario del partito fascista, Adelchi Serena, si era installata la Morale Operations unit dei servizi segreti americani, l’OSS… e c’era anche Saul Steinberg, come scoprii decenni dopo studiando gli anni italiani del celebre artista romeno-americano (…a proposito del senso di umorismo che può avere la vita…)

Mia nonna pensava che Biancamaria dovesse contribuire al precario bilancio famigliare lavorando per gli americani. Non per i servizi segreti, beninteso, ma come interprete per i meccanici dell’autocentro della US Army, installato nelle officine di Portonaccio.

Poi l’università, l’impegno politico studentesco nell’Interfacoltà, dove costruì amicizie che dureranno tutta la vita e dove – naturalmente – incontrò nostro padre, Carlo. Ma prima che si sposassero, l’incontro con l’America e con le sue culture divenne definitivo.

Appena due mesi dopo la laurea fu chiamata alla neo-costituita Commissione Fulbright. Era felice – anche se terrorizzata dalla necessità di usare il telefono in una lingua assai diversa da quella appresa da ragazza presso le Dame inglesi di via Abruzzo.

Notevoli, nel suo ricordo, gli staff meeting del lunedì… Biancamaria aveva già una certa tendenza all’iperproduzione di idee, all’ennesimo “I’ve got an idea”, qualcuno le rispose: “For heaven’s sake, Biancamaria, stop thinking!”.

All’inizio di giugno 1950, mentre si preparava al matrimonio già fissato per il 12 ottobre, la notizia inattesa: aveva ricevuto una borsa di studio per frequentare il seminario di critica letteraria della Kenyon School of English, a Gambier, Ohio.

Solo che la borsa non comprendeva il viaggio, era un venerdì e i corsi sarebbero iniziati la settimana successiva. Un funzionario in ambasciata le disse che se al ritorno fosse passata qualche giorno a Washington, le avrebbero pagato il biglietto aereo.

Così fu stabilito, senza neanche il tempo di parlarne con i genitori e con il fidanzato – che lo apprese a cose fatte, con la gioia che potete immaginare. Ma due giorni dopo Biancamaria partì ed ebbe il suo primo e cruciale incontro con l’università americana e con il mondo letterario americano “vivo”.

Di quelle settimane ricordava in particolare lo stupore e la gioia della biblioteca, che non assomigliava a nessuna di quelle italiane di allora, e gli strani rituali di accoppiamento dei coetanei statunitensi, che le spiegavano il complicato codice delle dates.

Con lei studiava anche la scrittrice Ann Birstein. Nel suo libro di memorie What I saw at the fair, nel 2003, Birstein ricorderà un episodio di quei giorni:

Biancamaria Bosco, a visiting student from Rome, was late with a paper and we spent some time teaching her a real Italian accent – which she didn’t have, but such as I had learned on Forty-seventh Street – to make her instructor believe she was a helpless foreigner.

La Quarantasettesima strada era, naturalmente, quella di New York. Lì c’era lo Actor’s Temple di Bernard Birstein, il rabbino della gente di spettacolo di Broadway e padre di Ann. Mamma fu ospite loro una settimana, prima di rientrare in Italia. Scrive Ann Birstein:

Biancamaria (…) delighted my father who called her “I Go Bianca” because of her willingness to go anywhere, try anything. Once, though, she had to call from Macy’s to get directions on how to come back because the first five people she asked didn’t speak English.

Ecco, credo che “I go Bianca” descriva bene nostra madre: willing to go anywhere, try anything. Nella vita e nella professione. Da allora e sempre.

Ci furono poi innumerevoli “Americhe”, e non tutte o solo professionali.

Ci fu uno storico viaggio con le amiche a San Francisco, nel fatidico 1968, per andare a trovare Maria Vittoria – che credo sia qui con noi, oggi – dal quale tornò, portandomi in regalo un libro sulla guerra del Vietnam e degli incredibili pantaloni a scacchettoni, dei quali le mie sorelle hanno utilmente rimosso il ricordo. Try anything!

Negli Stati Uniti portò con sé, a più riprese, la famiglia che nel frattempo si andava allargando.

A Middlebury college, in Vermont, nell’estate del 1962, andò con tutti gli allora solo cinque figli: io – grande – avevo 11 anni, Marta ne aveva solo uno. Ad agosto ci lasciò lì con una au pair trentina, mentre lei, papà e i loro grandi amici Paola e Marcello, partirono su un’automobile scassata per un viaggio coast-to-coast.

Poi – in diverse formazioni – fummo con lei a Berkeley, nel ‘72, a Stanford nel ‘75, a Cornell, nell’80…

Qualcuno di noi ci tornò anche per conto suo, per studiare e lavorare.

Ancora nella primavera del 2002, andammo insieme a New York. Io per partecipare alla reunion dei 25 anni della mia classe della scuola di Giornalismo, lei per seppellirsi, estatica, tra i manoscritti della Public Library.

Visitammo, ovviamente, “Ground Zero”, dove pochi mesi prima i  terroristi di Al Qaeda avevano schiantato il World Trade Center. Scrisse Biancamaria a uno di noi in quella occasione:

Ground zero è il luogo dove è finita la mia avventura americana come quella di tanti altri. La bellezza di New York col sole, questa mattina scendendo con l’autobus in una quinta strada piena di colori, non è servita a resuscitare i morti che sono in me.

No, non credo che a Ground Zero sia veramente finita la sua avventura americana. In realtà non è mai finita, anche quando non si muoveva più da Roma o – infine – da casa, e continuava a cantarne le canzoni.

Non molto tempo fa, cantava con uno di noi “We shall overcome”, con entusiasmo e partecipazione. Sbagliò solo una parola: invece di “We shall overcome, some day”, cantò “We shall overcome, ALWAYS”.

No, non era finita la sua America.

I go, Bianca, quella willing to go anywhere, try anything.

 

SETTE FOTOGRAMMI – Paola Tedeschini Lalli

Primo fotogramma:

L’illustre Prof. Agostino Lombardo, amico di mamma dalla prima ora, che ai seminari dei borsisti Fulbright “monta la guardia” – è espressione sua – per permetterle di allattarci.

Secondo fotogramma:

Gli scarabocchi fitti fitti, rigorosamente non figurativi, che mamma faceva mentre era al telefono e che per me bambina erano … americani.

Terzo fotogramma:

Il mio primo appassionatissimo amore a 5 anni: Vicky, un bambino americano figlio di qualche borsista, che mi piaceva talmente tanto, ma talmente tanto più che mai che … non me ne vogliano altri più tardivi amori!

Quarto fotogramma:

Mamma che stando sul “fuso orario” dell’America ci porta con un qualche anticipo Joan Baez, Bob Dylan, forse Leonard Cohen, le donne coi pantaloni e i cibi precotti, che nostro padre continuerà a considerare il massimo.

Quinto fotogramma:

Middlebury Vermont 1962. Livia di 4 anni piange che non vuole andare al playground perché non capisce l’americano. Mamma le dice: “Ma perché?  Loro invece lo capiscono l’italiano?”, Livia risponde che in effetti no, si tranquillizza e va.

Sesto fotogramma:

Il nipote per il quale è ora di andare a dormire e sapendo che zia Laura in America è ancora sveglia dichiara: “Beati gli americani!”

Settimo fotogramma:

Vecchiaia.

“La verità è che siamo vecchi anche noi, mammi’!”

“Ma va!”

“Beh, io fra un po’ compio 70 anni …!”

“Ah, però …”

 

La registrazione dell’evento è disponibile qui:  https://youtu.be/XRruQIxyz3s 

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