L’età dell’innocenza di Edith Wharton
“Agli inizi degli anni Settanta, una sera di gennaio, Christine Nillson cantava nel Faust all’Accademia di Musica di New York.”
Ne L’età dell’innocenza di Edith Wharton si apre subito il sipario su un teatro dell’opera, ormai luogo preferito dei raduni dell’alta classe newyorkese. Un sipario simile apre invece la scena alla nuova stagione del Bright Lights Bookclub che ha scelto proprio il romanzo di Wharton come prima lettura del mese di ottobre.
Pubblicato nel 1920 ma ambientato durante la famosa gilded age americana, L’età dell’innocenza rappresenta uno dei romanzi più celebri dell’autrice, già instradata nella carriera di scrittrice nonostante le evidenti difficoltà che una donna poteva avere all’epoca. L’incipit del romanzo inquadra sin da subito l’atmosfera che l’autrice, grande maestra e pittrice quasi impressionista dei gruppi dei socialite americani di fine diciannovesimo secolo, decide di ritrarre nel romanzo.
“Sebbene si parlasse già di costruire in una zona metropolitana lontana dal centro un nuovo teatro dell’opera, che per l’alto costo e per lo sfarzo avrebbe retto il confronto con quelli delle grandi capitali europee, il bel mondo si accontentava ancora di tornare a radunarsi ogni inverno nei mal ridotti palchi addobbati in rosso e oro dell’accogliente vecchia Accademia. I tradizionalisti le erano molto affezionati perché, essendo piccola e scomoda, teneva alla larga «la gente nuova» per la quale New York cominciava a provare timore ma anche una certa attrazione; i sentimentali vi si aggrappavano a causa dei suoi ricordi storici e i musicofili per la sua ottima acustica, requisito che ha rappresentato sempre un problema nella costruzione di sale destinate ai trattenimenti musicali.”
La società mondana aristocratica della New York di fine secolo diventa l’ambiente preferito di Edith Wharton, scrittrice attiva paradossalmente in pieno tumulto modernista. La scelta di concentrarsi su un periodo ormai decisamente lontano dal 1920 in cui lampadari di cristallo, cene sfarzose e costumi sociali rigidi costituivano i confini di un mondo sociale ben definito, viene tradita dai toni per quanto critici anche teneramente nostalgici. Di un mondo fatto di regole sociali, norme di comportamento che decretavano l’intera vita di una persona, Edith Wharton decide di accoglierne fasti e nefandezze, il luccichio degli sfarzi e le criticità in tutta la loro complessità.
Wharton non risparmia nessuno e niente nelle pagine del suo romanzo e la complessità con la quale decide di far immergere i lettori nelle vicende narrate lascerebbe con molte domande anche il lettore più critico di quell’epoca storica.
I protagonisti di questo romanzo avanzano nella narrazione e si prendono il loro pezzo di palcoscenico, anche marginale, così da creare un coro di voci e di nomi spesso difficile da seguire con facilità. Questa rete di nomi, parentele, legami familiari e sociali riflette la complessa trama mondana che fa da sfondo alquanto importante al romanzo. I legami diventano in un certo senso più sociali che non familiari, soprattutto nel momento in cui questi ultimi vengono richiamati a gran voce da coloro che hanno deciso, più o meno consapevolmente, di porsi ai margini di questa società fatta di incontri, fiori e routine comportamentali quasi ossessive.
La fetta di palcoscenico più rilevante viene occupata da Newland Archer e Ellen Olenska, due personaggi con vedute apparentemente distanti ma che col passare delle pagine si ritrovano a essere gli unici alleati possibili in una città come New York. Archer rappresenta la fetta più giovane dell’alta società americana, promesso sposo a May Welland, una delle donne più belle e di ottima famiglia di tutta New York. La sua integrità inizia a vacillare proprio con l’incontro con la contessa Olenska, sposata a un gran conte polacco dal quale, all’inizio del romanzo, si è allontanata desiderando addirittura il divorzio. Questo atto, legale a New York ma considerato del tutto inaccettabile, dà il via alle chiacchiere scandalistiche della città e all’incrinamento dell’integrità di Archer.
Ellen diventa in questo modo il perno vacillante che fa tremare le convinzioni e i valori con cui Newland è cresciuto, nonché il suo amore per May e la sua fedeltà nei confronti della società newyorkese. Perché di cosa si può parlare se non di fedeltà mancata se Newland viene meno ai suoi doveri da uomo, futuro marito, e socialite quando New York vive il momento di chiusura maggiore di fronte ai nuovi ricchi che iniziano a insediarsi nell’alta società? In queste istanze, chi viene da fuori e chi si pone consapevolmente ai margini come Ellen Olenska diventa quasi una minaccia e, ancor peggio, una pedina da muovere a piacimento dei più potenti.
Se il romanzo si apre su un palcoscenico, Newland si rende presto conto di essere anche lui una pedina, un attore in una farsa più grande di lui che, tuttavia, alla fine decide di continuare a recitare. La rassicurazione, più apparente che effettiva, di quel mondo fatto di sfarzi, comodità, doveri e regole ferree, sembra vincere anche sull’amore più passionale di tutta la città.
Con l’apertura sul nuovo secolo a fine romanzo, la traiettoria che in ultimo aveva provato a riassestare l’equilibrio iniziale sembra essere messa nuovamente in discussione. Il nuovo secolo, la velocità della nuova tecnologia, tutto dà una nuova scossa al vecchio ordinamento. Nel conteggio finale assoluto, viene dato un nuovo valore anche al peso di uno sguardo di troppo, di una mossa affrettata o, addirittura, dei propri valori.
Francesca Titolo
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