Luce d’agosto di William Faulkner
“Seduta sul bordo della strada, guardando il carro che viene su per la salita verso di lei, Lena pensa, ‘Arrivata fino a qui dall’Alabama: una bella distanza. Tutto a piedi fin dall’Alabama. Una bella distanza’. Pensando non è neanche un mese che sono in viaggio e sono già in Mississippi, più distante da casa di quanto sono mai stata. Ora sono più distante dalla segheria di Doane di quanto sono mai stata da quando avevo dodici anni”
Ambientato nella fittizia contea di Yoknapatawpha, Luce d’agosto si apre con un viaggio dove il Mississippi, luogo preferito da Faulkner per ambientare le sue storie, sembra essere solo una stazione di passaggio piuttosto di quella di arrivo. Pubblicato nel 1932, il romanzo è uno dei grandi titoli dell’autore sebbene ricordi solo in parte le grandi e complicate narrazioni dei due romanzi precedenti, Mentre morivo (1930) e il più celebre L’urlo e il furore (1929). Con la seconda lettura dell’anno, il Bright Lights Bookclub si avventura in uno spazio non denominato con precisione né temporalmente collocato con esattezza, tra le casupole fatiscenti di contadini, pastori, e liberi cittadini di Jefferson, capoluogo della contea di Yoknapatawpha.
Il romanzo, narrato in una terza persona da cui spesso si affacciano commenti diretti degli stessi personaggi, si apre con Lena Grove, una giovane ragazza incinta con una missione ben precisa: trovare un tale Lucas Burch, uomo di cui è innamorata e padre della creatura che porta in grembo. Nel “caldo, immobile silenzio del pomeriggio di agosto che sa di pino e di mosto” (15) Lena affronta con tenacia e coraggio un viaggio che si prospetta faticoso, non solo per via della percorrenza tra gli stati, ma anche a causa della sua permanenza a Jefferson. Una volta giunti in città, infatti, il lettore viene posto di fronte a una verità narrata attraverso le timide parole di Byron Bunch, che lavora alla segheria della città insieme a quello che sembra essere proprio Burch sotto un altro nome.
La narrazione cambia di continuo punto di riferimento, tornando a Lena solo nelle parti finali. Luce d’agosto è infatti un romanzo piuttosto corale da questo punto di vista, poiché cede la narrazione degli eventi, presentati solo parzialmente, a più voci e, soprattutto a occhi diversi. Veniamo così a conoscenza del passato tormentato del reverendo Hightower e della moglie adultera e poi suicida, ma soprattutto di uno dei personaggi forse meglio riusciti della narrativa faulkneriana. Si tratta di Joe Christmas, un uomo la cui origine è un mistero, la cui discendenza di sangue – e quindi razziale, – è in bilico tra ciò che in quel sud degli Stati Uniti provato dalle leggi segregazioniste è accettabile e ciò che non lo è.
La storia di Christmas si intreccia a quella di Lucas Burch, ma è di fondamentale importanza in un romanzo che pone implicitamente al suo centro il rapporto identitario con sé stessi e quello tra comunità bianca e quella nera. I rapporti razziali sono rappresentati dalla lotta costante che Christmas vive dentro di sé e dalle conseguenze che un apparente omicidio ha sulla comunità tutta di Jefferson. Attraverso il personaggio di Christmas e le vicende che, come un domino, sembrano susseguirsi a catena nella sua vita, Faulkner riesce a ritrarre un quadro molto chiaro della “maledizione” del razzismo nel sud, un rapporto tra bianchi e neri che sembra essere dalla notte dei tempi destinato a restare subalterno.
“Una razza condannata alla maledizione di essere in eterno per la razza bianca la maledizione e la condanna per i suoi peccati. Ricordatelo. La sua condanna e la sua maledizione. In eterno. Mia. Di tua madre. Tua, anche se sei solo una bambina. La maledizione di ogni bambino bianco, mai nato o che nascerà. Nessuno può sfuggirla”
La condanna subita dai neri e imposta dai bianchi raggiunge il climax verso la fine del libro, e viene raccontato quasi a sottovoce, per sentito dire, mentre Lucas Burch si dà alla fuga da Lena e dalla legge di Jefferson. Nel frattempo, Byron Bunch e il reverendo Hightower si fanno carico della bomba che sta per esplodere nella comunità. Da una parte Hightower che, reduce da una storia familiare altrettanto complessa che si intreccia con la storia della schiavitù nel sud, si eleva a moralizzatore sebbene anche lui rimanga senza risposte effettive all’omicidio. Dall’altra Bunch, finito per innamorarsi di Lena ma incapace di pronunciare non solo l’amore che prova per lei ma anche semplici parole su ciò che sta succedendo a Jefferson.
“La pace non è così frequente. Per cui si agitavano e facevano capannello, gridavano chiedendo vendetta, convinti che le fiamme, il sangue, quel corpo che era morto tre anni prima e soltanto adesso aveva ricominciato a vivere chiedessero vendetta, non sapendo che sia la rapita intima furia delle fiamme sia l’immobilità del corpo asseveravano il raggiungimento di una regione al di là delle ferite e del male dell’uomo.”
La complessità delle pagine di Faulkner viene mascherata da una prosa questa volta apparentemente lineare – ma nemmeno troppo – e dà la possibilità a Faulkner di esplorare territori geografici, simbolici e sociali familiari da una prospettiva ancora diversa.
Per questo, il grande regalo che Faulkner fa ai suoi lettori riguarda proprio il passato, il proprio, quello del sud, che ancora una volta viene filtrato da occhi nuovi, diversi. Per quanto tragico, controverso e orribile possa essere, il passato non può essere cancellato e il peso da portare è umano, indelebile e eterno.
Francesca Titolo
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