I Netanyahu – Joshua Cohen
Di romanzi controversi il Bright Lights Bookclub ne ha letti, ma forse nessuno di essi può arrivare al livello di coinvolgimento con il presente che ha il libro di aprile. I Netanyahu di Joshua Cohen, vincitore del Pulitzer per la narrativa nel 2022, è una storia su una delle famiglie più illustri e conosciute del nostro tempo, quella che dà il titolo al libro. Inoltre, è un esperimento molto ben riuscito tra realtà e finzione, in cui l’episodio raccontato dal protagonista è in realtà una vicenda realmente accaduta a un altro personaggio illustre della nostra storia. Cohen rimaneggia una storiella raccontatagli dal critico Harold Bloom riguardo il suo bizzarro incontro con Benzion Netanyahu e la sua famiglia, avvenuto a New York verso la fine degli anni cinquanta. Con uno stile alquanto ironico e dissacrante, Cohen riesce a costruire un romanzo profondo sull’identità, l’assimilazione e il sionismo.
Nel racconto retrospettivo del fine settimana passato in attesa e poi in compagnia dei Netanyahu, il lettore viene messo di fronte ad un’altra famiglia, protagonista più della prima per una buona parte del romanzo. I Blum sono ebrei, borghesi e apparentemente assimilati alla cultura americana di New York. Ruben, il capofamiglia, è un professore universitario di storia delle tasse al Corbin College, l’unico ebreo presente nel corpo docenti. La moglie ??? è devota alla famiglia e alla figlia adolescente, Judith, anche lei parte integrante della cultura americana.
Il primo episodio che fa crollare la terra sotto ai piedi dei Blum riguarda proprio Judy: convinta di volersi sottoporre a un intervento di rinoplastica a cui il padre è contrario, decide di rompersi appositamente il naso in un piano elaborato fino a minimi dettagli. L’episodio sembra non lasciare traccia nella coscienza dei Blum che credono quasi del tutto ingenui alla versione dell’incidente casuale. Tuttavia, l’episodio sembra essere un piccolo anticipo della crisi che Ruben vivrà nelle pagine successive. Judith non sembra riuscire ad accettare pienamente l’unica parte di sé che la rende ebrea. Difatti, nel witz che caratterizza i racconti ebrei il naso è una delle caratteristiche che più di tutte viene associata all’appartenenza questa comunità e quella che è più spesso protagonista di battute autoironiche.
Il romanzo sembra chiedere ai suoi protagonisti a quale tradizione realmente appartengano1 e, con l’episodio di Judith, pone le basi per un discorso più complesso sull’identità e l’assimilazione.
Sembra un dato di fatto che la crisi su cui questo romanzo butta le sue fondamenta inizi ben prima dell’arrivo dei Netanyahu a casa dei Blum. Quest’ultimo, infatti, non avviene per quasi metà del romanzo e, anzi, è caricato da inserti che fanno ballare il romanzo tra finzione e realtà. Una lettera di raccomandazione per Benzion Netanyahu scritta dal ???; riflessioni di Blum sui controversi scritti di Netanyahu che anticipano per l’ennesima volta la crisi che il suo arrivo scatena nella famiglia.
Blum è innamorato dell’America, un’intenzione dichiarata dall’autore stesso che dovrebbe mettere il protagonista in una specie di conflitto interiore con il proprio essere ebreo. Effettivamente il conflitto avviene, Ruben vive una vera e propria crisi d’identità dal momento in cui gli viene chiesto di accogliere la famiglia Netanyahu al Corbin College. Anche il lettore finisce quasi per credere alla versione dell’America edulcorata e innamorata di Blum, ma l’arrivo di Benzion rende il terreno su cui poggiano le convinzioni di Blum molto instabile. Netanyahu lo fa dubitare, anche solo nella lettura dei suoi scritti storici. Netanyahu, infatti, riflette e revisiona la storia a favore del popolo ebreo, una delle ragioni per cui le università americane fanno fatica ad accoglierlo nelle proprie aule. Le sue riflessioni sono fortemente politiche, diventano un’arma che disturba nel profondo Blum perché se da una parte mette in crisi il sistema di valori americano, dall’altro non fa che esacerbare il senso di appartenenza alla comunità ebrea che Blum tende a ignorare.
L’appartenenza, tuttavia, è anche quella al mondo accademico, che vacilla nel momento in cui Blum si sente relegato a un’unica categoria. Il dubbio che solleva il romanzo è anche l’uso arbitrario delle categorie di appartenenza sociale, etnica e religiosa. Netanyahu, in questo senso, diventa uno strumento di riflessione laddove tutto è dogmatico o apparentemente assimilato. Non è un caso che, alla fine del romanzo, Blum stesso parli attraverso Benzion come se non avesse mai davvero il coraggio di dissacrare la propria identità, che sia essa ebrea o americana.
Il contrasto molto forte che Cohen costruisce tra ironia e profondità rende la lettura sicuramente più scorrevole di quanto un romanzo con un argomento così delicato potrebbe suggerire. Le domande che pone sono comunque molteplici e riguardano il dogmatismo di certe posizioni che esulano anche dal sionismo di Netanyahu e giungono fino alla democratica America. Tuttavia, entrambi i sistemi di valori, per quanto difesi dalle convinzioni di Netanyahu da un alto e di Blum dall’altro, sembrano quasi lottare con sé stessi per sopravvivere.
Nonostante l’ambientazione degli anni cinquanta in cui si sviluppano le vicende del romanzo, vengono in superficie temi di estrema attualità, come la complessità di essere ebrei nella società (soprattutto quella di oggi, in cui la politica può non coincidere con i valori umanitari del singolo). Sebbene dal romanzo si possano estrapolare riflessioni di questo tipo, sembra comunque un peccato che le posizioni di Cohen sugli argomenti centrali al suo stesso libro risultino, in finale, deboli e poco chiare. Come spesso accade in letteratura, i romanzi parlano sempre più dei propri autori.
Francesca Titolo – Le ore dentro ai libri.
1 Francescato, Masiero, La tradizione: ovvero cosa devi alla “tua gente”. Intervista a Joshua Cohen in L’INDICE DEI LIBRI DEL MESE, vol. 1, pp. 15-15.