Banca del Giappone abbandona la politica dei tassi negativi

Roma, 19 mar. (askanews) – Era una decisione ampiamente attesa: la Banca del Giappone (BoJ) ha deciso nella sua riunione del Consiglio monetario di ieri e oggi di abbandonare la linea ultra-espansiva che ha caratterizzato la politica monetaria con tassi negativi dal 2017, per alzare il tasso di riferimento con una banda d’oscillazione tra 0-0,10%, rispetto alla precedente tra 0 e -0,10%.

Sostanzialmente l’istituto centrale di Tokyo manda un messaggio: al netto della fiammata inflazionistica dovuta a fattori geopolitici, la lunga epoca della deflazione è finita e segnala che l’obiettivo dell’aumento dei tessi strutturalmente a 2%, obiettivo di lungo corso della banca cnetrale nipponica, è a portata di mano.

La BoJ ha mantenuto la sua linea ultra-espansiva anche durante gli ultimi due anni, quando la guerra in Ucraina e i problemi innescati dalle catene di approvvigionamento delle materie prime, ha prodotto inflazione e spinto le principali banche centrali mondiali a dare una stretta decisa della politica monetaria.

Anche questo ha contribuito a far scendere la valuta nazionale, lo yen, a livelli record da 30 anni a questa parte, cioè dalla fine della fase della cosiddetta “bubble economy”, favorendo le imprese votate all’export ma rendendo più oneroso l’approvvigionamento di materie prime, a partire da quelle necessarie e produrre energia.

In realtà anche la decisione di oggi non ha rafforzato particolarmente lo yen. Per acquistare un dollaro oggi servivano oltre 150 yen (e per un euro oltre 163 yen), perché probabilmente i mercati attendono anche le decisioni della Fed prima di orientarsi.

Questo fatto, tuttavia, non intacca il significato del cambiamento di rotta impresso dalla BoJ.

L’istituto centrale nipponico, guidato da Kazuo Ueda, ha atteso prima di decidere gli esiti della “shunto” (“battaglia di primavera”), cioè la tradizionale trattativa retributiva e contrattuale tra le parti sociali che conclude l’anno fiscale (la cui fine è fissata per l’ultimo giorno di marzo). Come atteso – e richiesto anche dal governo del primo ministro Fumio Kishida – i principali datori di lavoro hanno soddisfatto le richieste dei sindacati, concordando un aumento medio dei salari del 5,28%, il più elevato degli ultimi 33 anni.

La Banca del Giappone aveva dichiarato di voler attendere questo dato, per vedere se si sarebbe innescata una dinamica virtuosa prezzi-salari, che facesse insomma riguadagnare potere d’acquisto alle famiglie e ripartire di conseguenza i consumi, in modo da favorire il raggiungimento del target di inflazione al 2%.

La BOJ ha inoltre posto fine alla politica di controllo della curva dei rendimenti, che prevedeva di mantenere i rendimenti dei titoli di stato giapponesi (JGB) a 10 anni intorno allo 0%.

Anche gli acquisti di asset rischiosi saranno ridotti. La BoJ non acquisterà più fondi negoziati in borsa (ETF) e fondi comuni di investimento immobiliare giapponesi (J-REIT). Dal 2010 ha acquistato un totale di 37mila miliardi di yen (228 miliardi di euro) di ETF e 650 miliardi di yen (4 miliardi di euro) di J-REIT.

La BOJ, tuttavia, continuerà ad acquistare JGB più o meno allo stesso tasso di adesso, una mossa che suggerisce che manterrà condizioni monetarie accomodanti. In precedenza, la banca centrale aveva dichiarato che avrebbe acquistato JGB senza limiti.

Nella sua dichiarazione, la BOJ ha anche abbandonato il suo orientamento all’allentamento della politica monetaria e il suo impegno sulla base monetaria. In precedenza, la banca centrale aveva affermato che “non avrebbe esitato ad adottare ulteriori misure di allentamento” e che avrebbe “continuato ad espandere la base monetaria” fino a quando l’inflazione al consumo “non supererà il 2% di inflazione e rimarrà stabile al di sopra dell’obiettivo”.

L’aumento dei tassi è stato approvato con una maggioranza di 7-2 nel consiglio composto da nove membri. mentre il voto sugli acquisti della JGB è stato 8-1. La decisione sugli altri acquisti di asset è stata unanime.