Biancamaria Bosco Tedeschini Lalli, un ricordo della Professoressa Cristina Giorcelli

Avevo studiato all’Università di Torino con Giorgio Melchiori e mi ero specializzata in Letteratura statunitense al Bryn Mawr College con Hennig Cohen. Al mio ritorno dagli Stati Uniti, tanto bastò a Biancamaria Tedeschini-Lalli per chiedermi di restare ad insegnare con lei come sua assistente (all’inizio, volontaria). Questo la dice lunga sulla sua apertura umana e professionale e sulla sua intelligenza organizzativa in un’epoca e secondo un costume che faceva e fa, perlopiù, scegliere agli accademici i “propri” allievi. Negli anni, Biancamaria accolse ancora, come docenti nella nostra disciplina, giovani provenienti da altri Atenei.

Biancamaria, allieva di Mario Praz, era una studiosa impegnata ad esplorare autori basilari ed identificativi della letteratura e della cultura statunitense. Apparteneva alla generazione, cioè, per la quale non era il numero delle pagine scritte a promuovere una carriera, ma l’ampiezza di respiro e la profondità della ricerca, portata avanti al fine di identificarne i valori specifici. E Biancamaria si impegnò su temi ed autori di grande e complesso respiro: dai Puritani a Thoreau, da Emily Dickinson a Whitman, da Gertrude Stein a Dos Passos. Tutti scrittori che richiedono di essere studiati con la mente e con l’anima, perché all’indispensabile mente avevano unito una grande anima.

L’apertura mentale, sociale e politica di Biancamaria si manifestò anche in ambito più largamente educativo: come non ricordare i corsi di lingua inglese che, per alcuni anni, organizzò e diresse per la Rai-televisione italiana o i corsi di lingua italiana che organizzò e diresse per conto del Ministero degli Esteri in Somalia. Inoltre, fu Biancamaria che introdusse, per prima in Italia, l’insegnamento della Linguistica statunitense, firmando un accordo Fulbright con l’Università di Cornell. Nel 1993 fece nascere, con pochissimi fondi ad hoc, l’Università di Roma Tre, grazie alla creatività, all’entusiasmo costruttivo ed alla fiducia che, con il suo emersoniano ottimismo, sapeva infondere nei suoi interlocutori (a cominciare dai Ministri per l’Università): era, di fatto e di diritto, una leader.

Per non parlare dell’appoggio che immediatamente mi diede, quando — secondo il progetto dell’allora Ministro Antonio Ruberti — nacquero i Dipartimenti, come luoghi deputati alla ricerca scientifica. Proposi, allora — anche sulla scorta della già fondata rivista trimestrale, Letterature d’America –, un Dipartimento delle e sulle Americhe che Biancamaria accettò e promosse con entusiasmo, ben consapevole delle lotte che, con colleghi più tradizionalisti di varie discipline, avremmo dovuto sostenere per realizzarlo. Fu il primo Dipartimento in Italia a studiare le Americhe in un’ottica intercontinentale ed interdisciplinare. Due anni dopo Biancamaria propose — e diresse per dieci anni — il corrispettivo Dottorato di ricerca interdisciplinare e intercontinentale in Studi Americani, che tanti educatori e docenti ha formato e promosso, i quali oggi insegnano in molte scuole e varie sedi universitarie italiane.

Per anni Biancamaria fece parte dei Direttivi della Commissione Fulbright e del Centro di Studi Americani, dove, per un decennio, organizzò l’annuale Seminario in Studi Americani (questa volta, nel senso statunitense dell’aggettivo). Dopo Agostino Lombardo, che con Vittorio Gabrieli aveva inventato questi Seminari negli anni ’50, quanti futuri docenti poterono godere di questi incontri che, allora, duravano un mese e vedevano impegnati illustri studiosi dei più rinomati Atenei statunitensi! Tutti coloro che diventarono la seconda generazione di americanisti italiani (me compresa) ebbero l’indiscutibile previlegio di essere scelti e di partecipare a questi “seminari,” allora ancora non praticati, nella loro formula didattica, dalle discipline umanistiche.

Biancamaria aveva il genio delle relazioni pubbliche. La sua casa era un accogliente e sereno luogo di incontri: dalla tavola, alla conversazione, ai progetti. Tra un piatto e l’altro, tra un argomento politico-sociale e l’altro, quante idee cominciarono a prendere forma in casa Tedeschini-Lalli! Specie quando c’erano con noi il sempre gentile, partecipe, signorile ed arguto marito, Carlo, e/o almeno alcuni dei suoi vivaci ed intraprendenti figli: Mario, Paola, Laura, Livia, Marta, Emanuele.

Biancamaria sapeva coniugare doti di audacia e di lungimiranza con doti di squisita gentilezza e di affettuosa partecipazione: alla forza intellettiva si coniugava in lei l’affettività materna. Era una persona autenticamente religiosa: aveva una fede profonda (abbiamo discusso anche di questo!) e salda. A me rispondeva, citando San Paolo: “la fede è la certezza di ciò in cui speriamo.” E questo, in effetti, è.

Quando, nel 2000, il Presidente Azeglio Ciampi, la nominò Grande Ufficiale della Repubblica, l’onorificenza ci parve giusta e molto ben meritata.

Dopo aver “retto,” per sei anni, l’Università di Roma Tre, nella sua stra-ordinaria versatilità, Biancamaria ha anche retto, per cinque anni, l’ISEF. Insignita di vari premi, va ricordata la sua Presidenza della Fondazione Levi-Montalcini onlus! Le donne che hanno fatto la differenza si richiamano!

Ho lavorato con Biancamaria per quarant’anni; con lei ho portato avanti la mia carriera: dall’assistentato ordinario, all’incarico, alla libera docenza, all’ordinariato. Ha sempre creduto in me. E abbiamo anche sempre vivacemente discusso … e come! Su certi argomenti, avevamo idee diverse: a posteriori, in alcuni casi ho avuto ragione io, in molti più casi ha avuto ragione lei. MA l’apprezzamento e l’affetto reciproci non sono venuti mai meno. Come ai tempi in cui fu colpita e vinse una grave malattia, quando, tre giorni fa, mi è stata comunicata la sua scomparsa, la mia prima reazione è stata: “NON è vero! C’è un fraintendimento.” Non poteva essere che Biancamaria fosse stata sopraffatta dalla morte!

Un giorno le dissi: “Sono stata con te, più a lungo di quanto sia stata con mia mamma.” Era ed è vero: con i sensi di mancanza, di nostalgia e di rimpianto che, oggi, la sua scomparsa non può non creare in chi l’ha stimata e le ha voluto davvero bene.

Cristina Giorcelli

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