Draghi: la globalizzazione ha indebolito i valori liberali

Roma, 15 feb. (askanews) – La globalizzazione non ha rafforzato i valori liberali e democratici, ma anzi li ha indeboliti nei paesi che li sostengono, a causa della diffusione nelle opinioni pubbliche della percezione che “la partita fosse falsata”. L’ha affermato oggi l’ex presidente del Consiglio Mario Draghi, intervenendo a Washington in occasione del conferimento del Paul A. Volcker Lifetime Achievement Award nel contesto della 40th Annual NABE Economic Policy Conference “Navigating Geopolitical Turbulence and Domestic Uncertainty”.

“L’apertura dei mercati globali ha reso possibile l’ingresso nell’economia globale di dozzine di paesi, facendo uscire dalla povertà miliardi di persone – 800 milioni solo in Cina negli ultimi 40 anni. Ha prodotto il miglioramento più ampio e veloce degli standard di vita mai visto nella storia”, ha premesso Draghi, segnalando però che “il nostro modello di globalizzazione conteneva anche una debolezza fondamentale”. Cioè, “affinché i mercati aperti tra i paesi possano essere sostenuti, devono esistere regole internazionali e soluzioni di risoluzione delle controversie a cui tutti i paesi partecipanti si attengono. Ma in questo nuovo mondo globalizzato, l’impegno di alcuni dei maggiori partner commerciali a rispettare le regole è stato ambiguo fin dall’inizio”. Draghi ha fatto l’esempio della Cina, che durante i primi 15 anni di adesione all’Organizzazione mondiale per il commercio (Omc) non ha notificato alcun sussidio del governo subcentrale, nonostante il fatto che la maggior parte dei sussidi provenisse dai governi provinciali e locali. “L’ordine commerciale mondiale globalizzato è sempre stato vulnerabile alla possibilità che un qualsiasi paese o gruppo di paesi potesse decidere che seguire le regole non era il modo migliore per perseguire i propri interessi a breve termine”, ha sottolineato l’ex presidente della Banca centrale europea.

Questa incapacità di stabilire un rispetto condiviso delle regole ha portato a “grandi squilibri commerciali, le cui conseguenze i politici sono stati lenti a riconoscere”, segnala Draghi. Tali squilibri sono insorti in parte perché l’apertura commerciale stava avvenendo tra paesi a livelli di sviluppo molto diversi, il che limitava la capacità dei paesi più poveri di assorbire le importazioni da quelli più ricchi e dava loro la giustificazione per proteggere le industrie nascenti dalla concorrenza straniera. Ma anche perché riflettevano “scelte politiche deliberate in ampie parti del mondo per creare surplus commerciali e limitare l’aggiustamento del mercato”.

Queste politiche, nonostante i tentativi sul fronte della politica monetaria di generare occupazione, hanno portato a un calo sostanziale di investimenti e il rallentamento del mercato del lavoro, che è stato in buona parte delocalizzato e ha perso potere contrattuale nelle economie avanzate. Ciò ha avuto importanti conseguenze politiche. “Contrariamente alle aspettative iniziali, la globalizzazione non solo non è riuscita a diffondere i valori liberali – democrazia e libertà non viaggiano necessariamente insieme a beni e servizi – ma li ha anche indeboliti all’interno dei paesi che ne erano stati i principali sostenitori, finendo anzi per alimentare la crescita di forze che guardavano maggiormente alla dimensione interna”, segnala Draghi. “Presso l’opinione pubblica occidentale si è diffusa la percezione che i cittadini fossero coinvolti in una partita falsata, in cui milioni di posti di lavoro venivano spostati altrove mentre i governi e le aziende restavano indifferenti. […] Le persone chiedevano una distribuzione più equa dei benefici della globalizzazione e una maggiore attenzione alla sicurezza economica. E, per ottenere questi risultati, si aspettavano un uso più attivo della ‘pratica di governo’ – assertività nelle politiche commerciali, protezionismo o redistribuzione che fosse”.

Una serie di eventi ha poi rafforzato questa tendenza. “In primo luogo, la pandemia ha messo in evidenza i rischi che derivano da catene di approvvigionamento globali estese per beni essenziali come i medicinali e i semiconduttori. Questa consapevolezza si è tradotta, in molte economie occidentali, in una spinta al re-shoring delle industrie strategiche […]. La guerra di aggressione in Ucraina ci ha poi indotto a ripensare non solo a dove acquistiamo beni, ma anche da chi. Ha evidenziato i pericoli di una dipendenza eccessiva, per input essenziali, da partner commerciali grandi e non affidabili che minacciano i nostri valori. Nel frattempo, è aumentata anche l’urgenza di affrontare il cambiamento climatico”.

Siamo, insomma, nel bel mezzo di transizioni “profonde”, dettate dalla “nostra scelta di proteggere il clima, dalle minacce di autocrati nostalgici o dalla nostra indifferenza alle conseguenze sociali della globalizzazione”. E le scelte che verranno fatto porteranno a conseguenze sociali “nette”. Tuttavia – conclude Draghi – “le persone conoscono nel profondo il valore della nostra democrazia e quel che essa ci ha dato negli ultimi ottant’anni. Vogliono preservarlo. Vogliono essere incluse e valorizzate al suo interno. Sta ai leader e ai responsabili delle decisioni politiche ascoltare, capire e agire insieme per progettare quello che è il nostro futuro comune”.