Innocenti e gli altri di Dana Spiotta

28 May 2024

“COME HO COMINCIATO” #32: MEADOW MORI
Questa è una storia d’amore.
Il mio fidanzato era, una volta. Adesso è. Enorme. Dice che è preoccupato per l’esposizione mediatica, libri, articoli, menzogne, verità. Tutto.
“Fidati,” gli dico. “Fidati. Un giorno sarò vecchia.”
“Sarai tu a lasciarmi,” dice lui. “Vedrai.”
“Il solito luogo comune,” dico io. Ride.
“Sì,” dice. “Lo è. Lo siamo.” (13)

Innocenti e gli altri di Dana Spiotta si apre in modo inusuale. Il titolo del capitolo assomiglia a una headline di un blog ed è accompagnato da un sottotitolo che richiama il linguaggio meccanico del web. Un nome che ricorda un’epigrafe latina (Meadow Mori) e un paragrafo lapidario, che inquadra uno scambio romantico di una coppia. Tuttavia, anche questo scambio è del tutto fuori da ogni norma prevedibile. Spiotta ci accompagna nel suo mondo narrativo inanellando in poche righe una serie di elementi che ritroveremo nel resto del romanzo: un romanticismo melenso smontato dallo spiattellamento della verità (molto spesso metanarrativa), un’inquadratura di una scena ben precisa e la ricerca spasmodica di quella stessa verità.

Il romanzo inizia con una storia d’amore ma è, in realtà, il racconto di un’amicizia. Le donne sono centrali in questo romanzo: voci che si alternano nelle varie sequenze narrative e che oscurano i personaggi maschili, lasciandoli in disparte come macchie indistinte. Le due voci principali sono quelle di Meadow e di Carrie, due amiche che raccontano la loro vita insieme e da sole nel corso di una serie di anni. Sono entrambe appassionate di cinema; Meadow finirà per occuparsi di documentari psicologici e riflessivi che fanno riferimento alla sua esperienza personale e Carrie si dedicherà a portare sullo schermo commedie femminili, blockbuster con sguardi femministi che la lasciano in uno stato di insoddisfazione.

Entrambe le donne guardano in retrospezione le loro vite e l’esperienza con il cinema, lasciando lo spazio per il ricordo di ciò che è stato necessario loro per andare avanti. Carrie, ma soprattutto Meadow, il cui sguardo filtra buona parte delle vicende, raccontano la loro storia tramite mezzi narrativi diversi: si tratta, in certi casi, di vere e proprie sequenze, immagini, che si alternano e che lavorano sui sottotesti del romanzo. Meadow è impegnata intellettualmente nelle sue attività cinefile, degli “eccessi” che Carrie non comprende mai del tutto. Quest’ultima, al contrario, “si gustava un film pur riconoscendone i difetti. Non aveva bisogno di essere ossessionata o disillusa. Lo trovava estenuante.” (92)

Come in uno dei film-documentari di Meadow, le immagini di questo romanzo si alternano e raccontano storie che si toccano senza un vero punto di incontro profondo apparente. In questa mancanza di contatto lavora il sottotesto di Innocenti e altri. Anche nel momento in cui entra in scena una terza donna, verosimilmente non legata né a Carrie né a Meadow, il filo che collega le tre storie si rinforza. Si tratta di Jelly, una donna che ha rapporti telefonici con uomini di diverso tipo, non vede per una buona parte della sua vita e incontra Meadow solo dopo aver quasi infranto il vetro delle sue relazioni telefoniche con un uomo speciale.

Il telefono era perfetto. Non aveva componente visiva, non aveva componente tattile, non c’era una persona con la faccia speranzosa o imbarazzata da decifrare, niente emanazione di profumo, niente alito pesante. (66)

Le storie di Jelly, Meadow e Carrie sono legate dal cinema in maniera inaspettata, soprattutto dal modo in cui questo trasmette il senso della veritĂ  ostinatamente cercato da Meadow con i suoi documentari.

La potenziale manipolazione dell’immagine che Meadow vede nel cinema diventa la stessa manipolazione con la quale la ragazza si appropria delle verità altrui. Come nel caso del suo amico Deke, Meadow estrae le verità delle altre persone con precisione dai recessi del loro inconscio per poi lasciarli vuoti. Deke si rivede nel filmato che Meadow ha registrato di lui mentre ha un crollo emotivo, ma non si scompone. A soffrire nel vedere lo svolgimento di questo processo di costruzione artefatta dell’immagine è Meadow che, senza alcuna previsione, non riesce a guardare il suo stesso documentario alla prima proiezione.

Era strano vedersi lì nel film. Parlare e mettere a nudo un aspetto personale della propria vita. Chi amava lei e chi lei amava. Quello che lei faceva a lui nel film o che lasciava lui facesse a sé stesso. Il suo provocarlo, la sua ostinazione a proseguire la ripresa tutta la notte. Era una specie di imboscata, a prescindere da quanto consensuale, a prescindere da quanto consapevole.

Tuttavia, si tratta di una manipolazione dell’immagine che ha a che fare non solo degli altri, come nel caso di Carrie e Meadow. Quest’ultima trasforma a suo piacimento anche l’immagine della realtà che la circonda, rimanendo lei stessa insoddisfatta quando questa non rispecchia le sue aspettative. Con Jelly succede la stessa cosa: nel momento in cui quest’ultima chiede a Meadow di raccontare la sua storia secondo le proprie condizioni, la donna decide di far prendere al documentario una piega distintamente diversa. Jelly rimane distrutta, svuotata della propria identità.

Sarà Meadow, alla fine, a mettere in discussione la propria identità dopo aver minato quella dell’amica di una vita e aver distrutto quella di Jelly. Il romanzo si conclude chiudendo il cerchio del sottotesto lavorato per più di trecento pagine. Una donna rivisita ciò che è stata e ciò che è nel presente narrativo, lasciando spazio per riflessioni e interpretazioni aggiuntive di cui forse, il romanzo non ha del tutto bisogno.

Francesca Titolo

Le ore dentro ai libri

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