M.O., Borrell: 26 paesi membri chiedono stop ad attacco a Rafah

Bruxelles, 19 feb. (askanews) – Ancora una volta, l’Unione europea fa la figura del “nano politico” di fronte a una crisi internazionale di enorme gravità, a causa della regola dell’unanimità necessaria per tutte le decisioni di politica estera, e dell’opposizione di un solo Stato membro, la solita Ungheria. E’ successo oggi al Consiglio Affari esteri dell’Ue a Bruxelles, per quella che doveva essere una dichiarazione dell’Unione forte e importante contro la prospettiva, catastrofica ma sempre più realistica, di un massiccio attacco militare israeliano a Rafah, l’ultima parte della Striscia di Gaza, a ridosso con il confine egiziano, in cui si sono rifugiati quasi tutti gli abitanti della Striscia. La presa di posizione alla fine c’è stata, ma senza l’unanimità ha dovuto essere declassata da posizione ufficiale dell’Ue a “dichiarazione a margine” del Consiglio da parte di 26 Stati membri: praticamente un belato invece di un ruggito.

“Sul Medio Oriente – ha spiegato stasera l’Alto Rappresentante per la Politica estera comune, Josep Borrell, durante la conferenza stampa al termine della riunione dei ministri – c’è una dichiarazione di 26 Stati membri, pubblicata a margine del nostro incontro del Consiglio Ue. I Ventisei sostengono la mia dichiarazione pubblicata nel weekend scorso che chiedeva al governo israeliano di non lanciare un’operazione militare a Rafah, perché peggiorerebbe una situazione che è già catastrofica, e impedirebbe le forniture di servizi e assistenza umanitaria per i bisogni di base” della popolazione civile.

Con la dichiarazione, ha aggiunto l’Alto Rappresentante, i Ventisei chiedono, tra l’altro, “di rispettare la legge internazionale umanitaria e l’ordine del 26 gennaio della Corte Internazionale di Giustizia, ricordando che si tratta di una decisione giuridicamente vincolante”. L’ordine della Corte internazionale di giustizia dell’Aja intima a Israele di fare tutto il possibile per “prevenire possibili atti di genocidio” nella Striscia di Gaza e di consentire l’accesso della popolazione agli aiuti umanitari.

In più, rispetto alla dichiarazione del weekend, ha precisato Borrell, i 26 Stati membri si sono trovati d’accordo per aggiungere un paragrafo in cui si chiede “una immediata pausa umanitaria che possa condurre a un cessate il fuoco sostenibile, al rilascio incondizionato degli ostaggi e alla fornitura dell’assistenza umanitaria”. 

Ai giornalisti che chiedevano quale fosse il Paese che non ha voluto firmare la dichiarazione, e per quale ragione si sia rifiutato di farlo, Borrell, senza mai nominare l’Ungheria, ha replicato: “Non sono il portavoce di nessuno Stato membro in particolare e non posso rispondere per un altro Paese. Il mio lavoro è quello di cercare un consenso, il più ampio possibile tra gli Stati membri. E se anche non c’è unanimità e quindi non c’è una posizione formale dell’Ue, si può avere una posizione sufficientemente maggioritaria anche se non è la posizione ufficiale dell’Unione europea a 27”. Diverse fonti Ue e diplomatiche hanno comunque confermato che ad opporsi è stato il governo di Budapest.

“Certo – ha lamentato l’Alto Rappresentante -, non rafforza l’Ue il fatto che questa posizione non si possa adottare formalmente perché non c’è l’unanimità necessaria. Solo quando è unita l’Unione europea può svolgere un ruolo” a livello internazionale. 

Comunque, ha ribadito Borrell, “ciò che chiedono i 26 Stati membri è una pausa umanitaria immediata che possa condurre a un cessate il fuoco sostenibile. Questo è il massimo che potesse unire la volontà politica dei Ventisei, ma è significativo della preoccupazione dominante che c’è in Consiglio Ue per la situazione che si vive a Gaza, e che potrebbe diventare molto peggiore se andasse avanti questa operazione militare di grande portata che, di certo, disgraziatamente, il governo di Israele sembra disposto a fare prima del Ramadan”, il mese sacro musulmano dedicato al digiuno e alla preghiera, che comincia il 10 marzo.  

Cosa succederà, gli è stato chiesto, se il governo di Benjamin Netanyahu lanciasse l’operazione militare a Rafah? “Evidentemente – ha risposto Borrell – non abbiamo la capacità coercitiva per impedirlo; l’unica cosa a nostra portata è la pressione politica e diplomatica affinché non lo faccia, rendendo chiaro il costo umano che una operazione di questo tipo avrebbe, inevitabilmente. Quando ci sono 1,7 milioni di persone che si trovano ammassate per strada contro un muro da cui non possono fuggire, è chiaro che, se ci sarà l’attacco, sarà molto difficile, nonostante tutte le precauzioni che si potrebbero rendere, che non causi un numero di vittime civili ancora maggiore”.

“Sapete – ha chiesto Borrell a questo punto alla sala stampa -che differenza c’è tra la guerra a Gaza e le altre guerre? Nelle altre guerre i civili fuggono, i non combattenti scappano via, e normalmente possono farlo. Ma da Gaza non possono, sono rinchiusi in un perimetro da cui non possono fuggire”.

Inoltre, “quando c’è una guerra la Croce rossa e altre istituzioni forniscono aiuti umanitari e si prendono cura delle persone vittime della violenza; ma a Gaza questi aiuti non arrivano, o arrivano col contagocce, in quantità ridicole rispetto alle necessità della popolazione”.

“Questa – ha sottolinato l’Alto Rappresentante – è la differenza: non possono né scappare come farebbero normalmente, né possono ricevere aiuti se non in quantità scarsissime. E poi c’è un’altra cosa: questi aiuti non arrivano per via di tutti gli impedimenti, gli ostacoli che vengono posti affinché non arrivino”.   “Insomma questo ci fa reagire e dire quello che possiamo dire: non possiamo intervenire sul campo, però – ha concluso Borrell – abbiamo la forza della politica e della diplomazia che hanno 26 paesi dell’Unione europea”.