Nathaniel Hawthorne – La casa dei sette abbaini

3 settimane fa

Il Bright Lights Bookclub continua la sua esplorazione del gotico americano con un nuovo romanzo che arricchisce il tema di nuovi aspetti. La casa dei sette abbaini di Nathaniel Hawthorne è stata la lettura del mese di novembre, un libro che ha permesso al gruppo di approfondire uno degli argomenti preferiti della letteratura gotica statunitense: il doloroso e controverso passato dell’intero popolo americano.

Al contrario di Edgard Allan Poe che ha interpretato il gotico inserendo sfumature psicologiche e introspettive ai suoi racconti, Hawthorne si muove all’esterno della mente americana e si sofferma sul territorio che conosce meglio, il New England. Culla degli insediamenti coloniali del Seicento, Hawthorne ambienta La casa dei sette abbaini proprio in questa regione, sottolineando così la radice profondamente puritana della città della storia che viene narrata.

La famiglia Pyncheon è al centro del romanzo che si apre con una sua anziana rappresentante, Hepzibah. La vita della donna non è quella che ci si aspetterebbe da una famiglia tanto antica: la decadenza circonda tutti gli aspetti della sua quotidianità, dalle abitudini del risveglio fino alla casa che abita. Hepzibah, ancorata alla vita passata più altolocata, è costretta ad aprire un negozio per vivere. La sua sembra quasi la maledizione di chi ha vissuto troppo nell’agio e il narratore non nasconde che una maledizione, in realtà, esiste. I Pyncheon sono vittime, se così si può dire, di un sortilegio pronunciato secoli addietro dai Maule, la famiglia a cui il giudice Pyncheon aveva sottratto il terreno su cui è costruita proprio la casa dei sette abbaini.

La storia prende il via in un capitolo introduttivo in cui il narratore sembra inciampare nelle vicende presenti e passate dei Pyncheon, prendendo sempre più confidenza con la materia che sta trattando. La sua presenza, molto più ironica di quanto Hawthorne voglia far credere, dà modo al lettore di muoversi tra i secoli che separano Hepzibah e l’antenato giudice, il cui ritratto in salotto incute terrore a chiunque decida di avventurarsi nella casa dei sette abbaini.

Il gotico di Hawthorne si trova proprio negli interstizi di questo movimento irregolare avanti e indietro nel tempo del quale il narratore non nasconde le controversie. Né i Maule né i Pyncheon si salvano dal passato che li tormenta ogni giorno, nemmeno quando nella vita di Hepzibah e il fratello entra una figura che rompe la loro noiosa e decadente quotidianità. Si tratta di Phoebe, una ventata d’aria fresca che irrompe nella casa dei sette abbaini portando un fragile sentore di speranza ai suoi abitanti. Nonostante la sua presenza, la casa non cede il suo aspetto tetro e, a tratti, sovrannaturale.

È quest’ultimo elemento a dominare la dinamica del gotico di questo romanzo, soprattutto quando nella risoluzione finale delle vicende tutto sembra essere tornato al proprio posto. Anche in questo caso, La casa dei sette abbaini non risparmia il lettore: il testo gotico sotteso alla narrazione lavora proprio in contrasto con il testo dominante che propone la risoluzione, lasciando un ricordo stagnante delle ansie e preoccupazioni di un’intera generazione che vuole dimenticare il proprio passato tragico. Il parallelo tra l’ambiente domestico dei Pyncheon e quello sociale americano è servito e l’unica soluzione per entrambi che sembra suggerire Hawthorne è una tipica puritana: l’eterna espiazione all’interno di una narrazione di apparente redenzione.

Francesca Titolo – Le ore dentro ai libri

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