Negroland, il memoir di Margo Jefferson
Il Bright Lights Bookclub prosegue il suo viaggio letterario. Ci spostiamo in una delle metropoli piĂš grandi degli Stati Uniti, Chicago. Qui vive Margo Jefferson, autrice del memoir Negroland, pubblicato per la prima volta nel 2015 da Pantheon Books.
Per la versione italiana si è fatto riferimento allâedizione di 66thand6nd del 2017, nella traduzione di Sara Antonelli.
Margo Jefferson è una scrittrice e giornalista di Chicago. Ă stata per anni critica letteraria e dâarte per âNewswekâ e âThe New York Timesâ, vincendo nel 1995 il Pulitzer per il giornalismo di critica. I suoi articoli sono stati pubblicati anche su âVogueâ, âNew York Magazineâ, âThe Nationâ e âGuernicaâ. Autrice di unâacclamata biografia su Michael Jackson, con Negroland ha vinto il National Book Critics Award, nonchĂŠ il premio The Bridge nel 2016.
La traduttrice, Sara Antonelli, che è stata ospite del nostro incontro del 30 marzo, è docente di Lingue e letterature americane per lâUniversitĂ Roma Tre. La sua attivitĂ di ricerca verte principalmente sullâOttocento e sulla cultura contemporanea, con unâattenzione particolare per la letteratura afro-americana e i rapporti tra letteratura e arti visive (cinema e fotografia). Autrice di saggi, volumi di storia, critica letteraria e traduttrice di romanzi e racconti dallâinglese (Harriet Jacobs, N. Hawthorne, L. M. Alcott, Sam Shepard, D. F. Wallace, T. Hardy, Fitzgerald).
Soffermandoci sul libro, la trattazione viene sviluppata su due piani: il primo prettamente storico, e il secondo fortemente autobiografico. La prima parte ci inserisce in una ricostruzione storica, che pone al centro la ârazzaâ, e tutti i âproblemiâ ad essa, sfortunatamente, legati. Da qui progressivamente si prosegue verso la seconda parte, che invece ci apre a quella che è la trattazione effettiva della storia, che nello specifico, ospita i ricordi della protagonista. âVoglio parlare di Negrolandâ lei dirĂ , un club esclusivo privo di confini geografici, circondato, se non protetto, potremmo dire, da privilegi e comoditĂ , allâinterno di un paese infestato da ostilitĂ razziali. Parliamo dellâèlite di colore, una parte di societĂ quasi nascosta. Una dimensione ossessionata dalla perfezione, in cui si considerano le sfumature della pelle, le forme dei nasi, i capelli, tematiche paradossalmente trattate dallâautrice anche in maniera piuttosto ironica.
Margo Jefferson figlia dellâalta borghesia nera, con abile, e raffinato linguaggio, tenta di demolire tutte le nostre convinzioni, se non di fatto âpregiudiziâ, sulla razza, partendo proprio dal titolo, attraverso lâuso di una parola diventata tabĂš- ânegroâ- con la N maiuscola. Per parlare di questo, e di sĂŠ stessa come componente di cerchia ristretta di persone, lâautrice parte proprio dalla schiavitĂš. Margo Jefferson ci mostra una parte della comunitĂ afroamericana di cui solitamente non si parla, sia per loro discrezione, che per via di un inevitabile imbarazzo nei confronti del resto della comunitĂ afro-americana che non può godere degli stessi privilegi.
La costruzione di questo libro ha sicuramente rappresentato una prova di coraggio, sia per lei che per lâeditore stesso: una ricostruzione cosĂŹ dettagliata avrebbe potuto scoraggiare il lettore, ma allo stesso tempo gli fornisce alcuni riferimenti storici utili a contestualizzare la parte autobiografica. Ed è cosĂŹ che arriviamo alla parte piĂš personale, e senzâaltro dolorosa, del libro. Lâumiliazione che si legge tra le righe è sempre controbilanciata dalla presunzione: da una parte Margo cresce ritrovandosi costretta in diverse occasioni a fare i conti con il colore della propria pelle, dallâaltra sa che può permettersi il lusso di una vita agiata. Ma vivere dentro Negroland, nonostante gli ovvi privilegi, sotto un altro punto di vista non li ha preparati al mondo. Lei, come tutti i suoi âconcittadiniâ, ha vissuto in un posto protetto ed è di fatto dopo lâuscita da questo posto, che si è accorta di non avere gli strumenti necessari per affrontare alcune dinamiche della vita reale.
Proprio in riferimento a questo, troviamo la descrizione del suo periodo universitario come uno dei momenti della sua esistenza sicuramente piĂš duri, caratterizzato da depressione e istinti suicidi.
Sono davvero molti gli spunti di riflessione in queste pagine: dal confronto con altre minoranze, come quella ebraica, al fenomeno del âpassingâ, che lâautrice ci racconta da vicino attraverso lâesperienza dello zio, fino ad arrivare alla depressione e alla consapevolezza dei propri fallimenti.
Non a caso, in conclusione, lâautrice fa un riferimento letterario molto significativo. La Jefferson cita âPiccole Donneâ e ci spiega come mai, nonostante amasse molto il personaggio di Jo, alla fine sceglie di identificarsi con Beth, consapevole di quanto la vita possa essere piena di significato anche senza dover necessariamente eccellere o distinguersi dagli altri.
Con la forza di queste parole cosĂŹ significative, poco dopo, Margo Jefferson conclude:
<Non hai figli e non li hai mai desiderati. Le lunghe passioni romantiche non sono roba per te. La spiegazione che ti dai (non menzognera eppure insufficiente) è che ti sei lasciata influenzare da cosĂŹ tante convenzioni, aspettative ed esigenze (delle istituzioni, della gente) da una tale paura di essere disapprovata che la disciplina della solitudine – di una severa solitudine – è stata unâesigenza che alla fine ti ha regalato la sensazione di avere un io indipendente.>
articolo di Francesca Manari