Trust – Hernan Diaz

Il grattacielo cinereo occupava gran parte dell’isolato. Poiché avevo visto la sommità piramidale solo dal lungomare di Brooklyn, non potei fare a meno di fermarmi a guardare in su. Le linee severe e pulite dei lastroni di pietra calcarea sfrecciavano verso l’alto, interrotte solo da cornicioni di rame con decorazioni troppo elaborate, archi gotici e busti di gladiatori futuristici. Avidamente, ridicolmente, il palazzo rivendicava per sé tutta la storia – non solo il passato, ma anche il mondo a venire.

Negli Stati Uniti dei tempi d’oro, tra la fine del diciannovesimo secolo e i primi trent’anni del secolo successivo, ci sono stati uomini centrali allo sviluppo economico del paese. Il loro potere è derivato dall’aver saputo sfruttare le correnti a loro favore e confermare il potere di una nicchia sociale che esulava dalla vita di tutti i giorni.

I grandi ricchi hanno sempre fatto parte della società americana ma si sono definitivamente affermati proprio in quei trent’anni che hanno preceduto (e in parte annunciato) la crisi del 1929. Trust di Hernan Diaz ruota proprio attorno alle dinamiche di un processo di arricchimento continuo che da decenni domina la società americana ma di cui nessuno mai parla davvero.

Il romanzo è costruito su più piani narrativi e più di una voce si alterna nel raccontare la storia di Andrew Bevel, diventato milionario a cavallo proprio del crollo del ’29. Tuttavia, Bevel non è da solo in questa storia, perché la giovane Ida Partenza gli si affianca per scrivere un’autobiografia che smentisca i fatti raccontati su di lui e sua moglie, la defunta Mildred. Nel gioco di voci che si alternano per raccontare la storia, si materializza un ritratto estremamente trasparente di un mondo che, per quanto lontano dai giorni nostri, ancora ci appartiene.

Diaz è chiaro nei suoi intenti con Trust: raccontare il modo in cui vengono fatti i soldi e il romanzo, nonostante le premesse, forse non riesce del tutto a raggiungere i suoi obiettivi. Non si tratta di una critica al libro in sé, quanto un tentativo di raccontare cosa invece è riuscito a fare. Sebbene Trust racconti, in parte, come Bevel sia riuscito a raggiungere vette di ricchezza tanto irraggiungibili, è pur vero che finisce per annebbiare la vista del lettore su quegli stessi intenti dichiarati. La visione finale che il romanzo offre non è chiara fino in fondo proprio perché tale deve rimanere. Nel tentativo di Bevel di creare un ritratto più trasparente (e manipolato) possibile della sua vita insieme alla moglie, la stessa figura evanescente di Mildred non glielo permette mai davvero.

Il romanzo, infatti, è una narrazione continua e sistematica del percorso attraverso il quale Bevel è diventato ricco, ma con la presenza costante e mai del tutto chiara della moglie l’impianto tematico del romanzo viene smentito in continuazione. Le stesse narrazioni alternate, mai del tutto coerenti con loro stesse rendono la storia che Bevel vorrebbe raccontare inaffidabile e dà modo all’autore di esplorare generi e modi narrativi del tutto diversi tra loro: memoir, lettere, racconto in terza persona e in prima.

In questo, Diaz, è un maestro. Attraverso la narrazione, l’autore rompe i dettami dei grandi romanzi a cui si ispira, tra cui Edith Wharton e Henry James. Se da un lato questi ultimi erano grandi epopee in terza persona che, seppur criticando la società che raccontavano, ne facevano un ritratto affascinante per chi leggeva, inserendo più voci diversificate Diaz rompe la dominazione della narrazione in terza persona. In Trust, oltre alla critica sottesa della ricchezza che ricorda i grandi narratori, viene smontato l’intero sistema grazie proprio alla figura di Mildred e alla rivelazione a fine romanzo.

[…] più si è vicini a una fonte di potere, più essa diventa silenziosa. L’autorità e il denaro si circondano di silenzio, ed è possibile misurare la portata dell’ascendente di qualcuno dalla densità dell’assenza di suoni che lo avvolge. (223)

Il sistema preso in considerazione dal romanzo è proprio quello capitalista, che negli Stati Uniti, già dal periodo in cui Trust è ambientato, forma le solidissime fondamenta su cui si basa la società americana. La disomogeneità creata da questo sistema le cui basi sono il sangue degli schiavi dei secoli precedenti, dà origine alla crisi nervosa di Mildred e al suo tracollo finale. La reazione della donna sembra essere l’unica possibile per chi vede realmente gli effetti di quel sistema malato e non si nasconde nella sua fortezza di illusioni.

Tuttavia, la comparsa di Ida Partenza a metà romanzo pone le basi per un altro tipo di reazione al sistema: la resistenza. Figlia di un anarchico italiano, Ida rappresenta per l’autore proprio il simbolo della resistenza al capitalismo, anche se quella lotta sembra essere già persa in partenza.

In Trust non c’è spazio per gli scorci sulla vita dei ricchi finanzieri, non c’è desiderio di emulazione, né fascinazione. Ciò che rimane di questa vita di sfarzi sono solo oggetti che, come Ida racconta quando ritorna a casa Bevel dopo anni dalla sua morte, quasi perdono di significato.

 

Francesca Titolo – Le ore dentro ai libri

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