Uno di noi | Intervista a Nicola Manuppelli
Con l’ottava lettura del Bright Lights Bookclub ci si sposta nel nord degli Stati Uniti, nelle vaste praterie del Montana e del North Dakota. Uno di noi di Larry Watson viene alla luce nel 2013 e pubblicato nel 2021 da Mattioli 1885 nella traduzione di Nicola Manuppelli.
L’autore, originario del North Dakota, è un gran conoscitore delle terre di cui scrive spesso nei suoi romanzi. Dopo un dottorato in scrittura creativa alla University of North Dakota, Watson ha insegnato per molti anni letteratura e scrittura in diverse università americane. Il suo primo romanzo, In A Dark Time viene pubblicato negli Stati Uniti nel 1980.
Con il primo romanzo di Watson tradotto in Italia, Montana 1984, la regione occidentale emerge come protagonista sin dal titolo e con Uno di noi, sebbene non immediatamente riconoscibile, il paesaggio roccioso del Montana è lo scenario principale del romanzo. A riempire la cornice paesaggistica che, come argomenta il traduttore, non ha solo una funzione di contorno bensì dà ritmo alle azioni dei personaggi, è la storia di Margaret e George Blackledge (letteralmente la parte in piano di una parete rocciosa, da “ledge”). I due coniugi hanno perso il figlio in un incidente a cavallo e vengono privati anche del nipote Jimmy, l’unico che possa mantenere vivo il ricordo del defunto James.
Il romanzo si apre nel settembre 1951, mentre George sta tornando a casa dopo il lavoro. Tuttavia, l’uomo trova una casa spoglia, svuotata da Margaret in procinto di partire. La donna è decisa a seguire la nuora Lorna, risposatasi con un tale Weboy il cui comportamento violento nei confronti di Lorna e del piccolo Jimmy preoccupano Margaret.
Cristo, Margaret. Vuoi davvero farlo?
Sì. Gli occhi di Margaret Blackledge non hanno perso la loro capacità di sorprendere: grandi, liquidi, di un blu intenso e incastonati in un viso le cui superfici e angoli sembrano scolpiti nel marmo.
Con me o senza di me?
Con te o senza di te. È una tua scelta.
La fermezza della donna richiama non solo il suo viso marmoreo ma anche il suo carattere deciso. Determinata a ricongiungersi con il nipote, la donna parte con il marito, meno impaziente di lei a mettersi nei guai, in un viaggio scandito dai ritmi della natura e dal duro e freddo paesaggio tra North Dakota e Montana. Oltre a rendere il paesaggio centrale in una missione dai risultati più che incerti, Uno di noi rivela la diversità dei rapporti famigliari e mette in dubbio la facilità con cui il sangue possa determinare l’appartenenza a una famiglia piuttosto che a un’altra. Il viaggio dei Blackledge li porterà a uno scontro – tanto ideologico quanto letterale – con il famigerato clan dei Weboy.
L’elemento che scuote le sicurezze di Margaret è un’altra capo famiglia, Blanche Weboy, con la quale la donna mette in scena un vero e proprio teatrino in cui le regole sociali diventano un gioco di ruolo a cui solo Margaret sembra davvero credere. L’astuzia violenta e criminale di Blanche e della sua famiglia porterà al ribaltamento totale delle regole sociali che Margaret e George conoscono, minando l’esito positivo della loro missione e catapultandoli in una situazione dai risvolti tragici.
Sarà proprio lo scontro finale con i Weboy a trasformare il viaggio dei Blackledge in una drammatica corsa contro il tempo per salvare Lorna e il piccolo Jimmy. Il finale e la sua interpretazione richiamano in maniera molto esplicita il titolo originale del romanzo, Let Him Go (“lascialo andare”), che poco ha a che fare con la traduzione italiana già adottata dai produttori del film tratto dal romanzo prima che questo venisse tradotto da Manuppelli. Se, da una parte, Uno di noi intreccia quasi alla perfezione quella resistenza ai legami famigliari e di sangue, quel dubbio che questi ultimi non possano essere sufficienti, forse, per appartenere a una famiglia, il titolo inglese Let Him Go funziona alla perfezione come cornice finale, seppur drammatica, alle ultime pagine di questo forte romanzo.
Ora nessun segno, nessuna bruciatura o residuo di carbone, indica il luogo in cui George aveva acceso il fuoco. È incredibile la forza con cui la terra ripristina se stessa e cancella ogni sforzo umano. Ma il ricordo resta, ancora forte, può sollevare fiamme alte come il tetto, e muovere il vento e far soffocare George con il suo fumo e pungergli gli occhi, fumo di lillà, come se si potesse distinguere da un altro.
La perdita è centrale nel romanzo, che venga intesa nel modo eroico che la vena western del romanzo suggerisce o quella più semplicemente umana e più universale tipica della letteratura americana. Uno di noi ci suggerisce di lasciar andare ciò che ci appartiene ma che non è più con noi, abbandonare quello in cui abbiamo creduto fino a quel momento per amore – o disperazione, a seconda di come si legga il finale – ma anche tentare a tutti i costi di rimanere aggrappati a ciò che più ci appartiene, in modi socialmente accettabili o meno.
Di seguito, trovate alcune domande poste al traduttore Nicola Manuppelli durante l’ultimo incontro in biblioteca in cui si è discusso del romanzo.
Come hai deciso di portare Larry Watson in Italia?
Ho scoperto Larry perché mi piace molto l’ambientazione di alcune sue storie, cioè il Montana. Cercando storie ambientate in Montana mi sono imbattuto in un suo libro che era il primo uscito in Italia. Dopodiché sono passati tanti anni prima che riuscissi a portarlo come autore e a tradurlo, perché è sempre difficile proporre uno scrittore di cui non esiste niente o poco niente di già tradotto. A un certo punto ho pensato che pur essendo un autore vivente potesse andare bene per Mattioli. Dal momento in cui ho proposto l’autore alla casa editrice sono passati cinque o sei anni in cui nel frattempo mi sono scritto con Larry e l’ho conosciuto meglio.
Cosa rende Larry Watson uno scrittore del Montana?
La cosa principale è lo scenario. Il Montana ha un paesaggio particolare, l’uomo è immerso nella natura, è costretto a seguire i ritmi della natura. Questo influisce sulle storie che hanno un’impostazione molto antica, sono storie dove i protagonisti dialogano molto di più di tanti romanzi attuali con la natura. Ancora oggi il Montana è un luogo in cui può venire questo tipo di narrazione. Nel caso di Watson questo tipo di narrazione è anche più attuale, lui ci fa vedere che ambientando una storia negli anni ‘50 si può scrivere un western, che sono storie dove avviene questo scambio uomo-natura.
Il titolo di questo romanzo in italiano è “Uno di noi”, là dove in originale è “Let Him Go”. L’autore stesso ha detto quasi di preferire la traduzione italiana. Cos’è questo romanzo? Una faida tra famiglie o un tentativo di salvare il bambino?
Credo che Larry preferisca quello in italiano perché la storia principale in realtà è di loro due [di Margaret e George], come coppia. Quel noi del titolo italiano che intende la coppia e la famiglia con il bambino, contrasta poi con i Weboy che vorrebbero che il bambino fosse il loro. In ogni caso, la scelta del titolo richiama il titolo del film, che era già stato annunciato.
Che idea ti sei fatto del personaggio di Margaret? Non la trovi un po’ troppo forte?
A me personalmente è quello che mi è piaciuto di più. La trovo molto forte, non troppo perché non è quel tipo di forza che ci si aspetterebbe quando un narratore un po’ più superficiale prova a fare un personaggio di quel tipo. Spesso un difetto dei personaggi dei romanzi è che quelli maschili vengono “maschilizzati” e quelli femminili “femminilizzati”. Questo non accade con Margaret. Watson la descrive come personaggio in sé prima ancora di darle un ruolo maschile o femminile. Poi lei ha sicuramente un ruolo femminile e questo lo rende ancora più interessante. A volta lei è anche cocciuta, non sempre spiega o motiva a fondo le sue ragioni. Ed è soprattutto un personaggio fatto di silenzi, che contribuisce al ritratto dell’ambiente naturale.
Secondo te il finale è un atto d’amore o di disperazione di un uomo che pur di far contenta la moglie decide di compiere questo ultimo gesto?
Il bello è che rimane interpretabile. Dal mio punto di vista, sono un buono e mi piace vederlo positivamente, come un atto d’amore.
articolo di Francesca Titolo
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