’Vota Giorgia’, all-in di Meloni.Europee come referendum su di sé
Roma, 8 giu. (askanews) – Sarà pure scaramanzia, magari mista a un po’ di opportuna prudenza, a spingerla a non fissare un asticella, a non dichiarare quale percentuale si aspetta di conquistare. Ma anche se continua a ripetere il mantra del “basta un voto in più rispetto alle Politiche”, queste Europee per Giorgia Meloni sono comunque una sfida da all-in.
Una consultazione nazionale, per di più basata su un sistema proporzionale, a quasi due anni dall’inizio del mandato, avrebbe il valore di elezione di mid term per qualsiasi governo. Ma se il voto per le istituzioni di Bruxelles si è trasformato in un “referendum” sull’esecutivo e chi lo guida è proprio perché così ha voluto la presidente del Consiglio, gettando il guanto della sfida sin dal momento in cui ha annunciato che avrebbe guidato le liste di Fratelli d’Italia in tutte le circoscrizioni. Sin dalla scelta di personalizzare a tal punto la competizione elettorale da chiedere ai suoi elettori di esprimere la preferenza indicando solo il suo nome di battesimo, “Vota Giorgia”. “Mi interessa solo il giudizio dei cittadini, ed è un giudizio che rispetto e rispetterò sempre”, ha urlato dal palco allestito sul lungomare di Pescara per la conferenza programmatica.
Una impostazione ‘con me o contro di me’ che si è ripetuta nell’unico comizio in senso stretto al quale ha partecipato dopo aver promesso che non avrebbe sottratto “nemmeno un minuto” al suo lavoro di presidente del Consiglio. Queste elezioni, ha detto nel suo intervento di chiusura della campagna elettorale da piazza del Popolo, sono un “referendum” tra due idee d’Europa.
E se così è, inevitabilmente, l’esito finale non potrà che essere una vittoria o una sconfitta: il pareggio, in questo caso, non è contemplato. Anche perché lo schema di gioco scelto da Meloni si basa su una doppia scommessa: la conferma (o addirittura la crescita) del consenso in Italia e la conquista di un peso determinante in Europa.
Per Fdi il target di riferimento non è chiaramente quello delle precedenti Europee, quando il partito conquistò il 6,4% e sei eurodeputati. In questo caso la soglia sotto la quale non bisogna andare è quella del 26% delle Politiche. Secondo i calcoli fatti a via della Scrofa, una sostanziale conferma di quella percentuale porterebbe all’elezione di almeno 24 parlamentari europei, di cui 2 nelle Isole, 6 a Nord Ovest e al Sud e 5 rispettivamente a Nord est e al Centro. Ma quanto sarà nutrita la pattuglia dipenderà non solo dai voti ottenuti ma anche da altri fattori, primo tra tutti il superamento o meno della soglia del 4% di partiti come Avs, Stati uniti d’Europa e Azione e dalla eventuale ripartizione dei resti. Difficilmente però, a differenza di quanto ha detto la stessa premier, si creerà una situazione talmente favorevole da consentirle di guidare la “prima forza” a Bruxelles. Maggiori chance ci sono, invece, che il gruppo dei Conservatori europei – di cui Meloni è presidente – arrivi terzo dopo gli inarrivabili Popolari e Socialisti ma davanti a Identità e democrazia (che comprende anche Le Pen e Salvini) e Renew di Macron.
Nella narrazione meloniana si ribadisce che Fratelli d’Italia non farà mai parte di una maggioranza con i Socialisti e, anzi, che ci sarà la possibilità di creare in Europa una coalizione come quella italiana. Una opzione che, secondo tutte le previsioni, appare più che remota ma che è servita alla presidente del Consiglio per marcare il fronte identitario e allontanare da sé il sospetto di inciucismo per i buoni rapporti tenuti negli ultimi mesi con la presidente della Commissione Ursula von der Leyen. In questa prospettiva va letto anche il recente riavvicinamento con Marin Le Pen e quel sottolineare, dopo mesi di frizioni, i “molti punti in comune”.
Ma se si va oltre una fredda lettura dei dati, c’è molto altro che i numeri possono raccontare. Da Fratelli d’Italia, per esempio, si insiste molto sul fatto che confermare il dato delle Politiche sarebbe già una grande conquista per un governo in carica in una congiuntura economica non favorevole e con due guerre alle porte dell’Europa. E, tuttavia, c’è una ragione se all’inizio di questa avventura l’obiettivo sperato (pur se mai dichiarato) era quello del 30%. Le ultime due elezioni per le istituzioni di Bruxelles, infatti, hanno registrato una forte polarizzazione del voto che non era stata prevista dai sondaggi. E’ accaduto nel 2014 quando Matteo Renzi ha sfondato il tetto del 40% e nel 2019 quando la Lega è arrivata al 34% raddoppiando i voti delle Politiche.
Anche per questo, oltre che per un crescente timore dell’effetto Vannacci, nelle ultime due settimane di campagna elettorale – privilegiando interviste in tv o dirette sui social – la presidente del Consiglio ha portato avanti una narrazione decisamente all’attacco e fortemente basata sui temi identitari. Va letta così la scelta di mettere in sovraimpressione a un suo video la scritta tele Meloni, o gli attacchi diretti a Elly Schelin per polarizzare la sfida, persino la battuta su “quella stronza della Meloni” fatta al presidente della Regione Campania. Insomma, una specie di chiamata alle armi del proprio elettorato per cercare di combattere il vero fantasma che agita i sogni dei partiti: l’astensione. A via della Scrofa non hanno dubbi: tanto più cresce il partito del non voto, tanto più a essere penalizzata sarà proprio Fratelli d’Italia.