Cavalli elettrici | Intervista a Shannon Pufahl e Giada Diano

Cavalli elettrici, romanzo d’esordio di Shannon Pufahl (nella traduzione italiana di Giada Diano), già finalista del premio letterario Lambda e libro più atteso dell’autunno per il New York Times, è una storia diversamente western.

L’autrice, cresciuta nelle zone rurali del Kansas, racconta le strade del west americano nel dopoguerra: il selvaggio West delle campagne del Kansas e delle spiagge della California; ma anche il fascino ambiguo e pericoloso di Tijuana e le illusioni perdute di Las Vegas.

Il pericolo e l’illusione, sono, infatti il tema centrale del romanzo ma anche “attraversamento del confine”: non solo quello tra San Diego e Tijuana ma il confine di sé stessi attraverso il racconto delle vite di Muriel, giovane e irrequieta, che si ritrova trapiantata a San Diego con il marito Lee e il fratello di lui, Julius.

Muriel cerca qualcosa disperatamente, e lo fa fin da quando è morta sua madre, non sa cosa cerca, ma nella sua nuova vita Muriel e Lee vivono accanto senza comprendersi pienamente. Pur dimostrandole affetto e protezione Lee non le restituisce il necessario brivido vitale.

Julius, anche lui, anima inquieta alla ricerca di una identità, non riesce a trovare il proprio posto nel mondo, cresciuto da un padre fanatico religioso e da un fratello semplice e convinto di dover prendere il ruolo paterno nella vita del fratello minore da sempre problematico tra risse e gioco d’azzardo. Trova lavoro in un casinò di Las Vegas, dal cui tetto i turisti scrutano i test atomici. Si innamora di Henry, un baro di carte e quando questi dovrà scappare, Julius andrà alla sua ricerca fino a Tijuana.

Cavalli elettrici” è una storia di bugie e di scommesse. Le esistenze di Muriel e di Julius sono governate dall’azzardo e dalla menzogna.

I cavalli diventano l’ossessione di Muriel che impara tutto su di loro per non sbagliare le puntate e Julius quando torna dal fratello porta con sé una cavalla che regala ai due coniugi.

«I cavalli non tengono fede alle speranze che riponi in loro»: Julius e Muriel, i veri cavalli elettrici, irrequieti, mai domati, in continuo movimento e tradimento delle persone che avevano riposto fiducia in loro. Questo continuo venir meno è ben rappresentato dalla cavalla che Julius regala a Lee e Muriel e che scappa, poi riappare, poi scompare di nuovo, fino alla fuga finale.

Non sono personaggi positivi ma sia accettano per quello che sono e cercano anime affini sulla loro strada: incontri di una notte, amori folli di pochi istanti, mezzi per provare brividi e passioni.

Il romanzo racconta la verità senza paure di due persone che non si riconoscono nel luogo e nel tempo in cui vivono, né in loro stessi.

Ma nonostante l’impossibilità di trovare un luogo e un tempo vogliono vivere la vita e non farsi sopraffare dalle regole imposte.

Siamo stati veramente lieti di poter fare alcune domande direttamente a Shannon Pufahl e Giada Diano che hanno partecipato all’incontro della terza tappa del Bright Lights Bookclub del Centro Studi Americani. 

Shannon Pufahl è cresciuta nelle zone rurali del Kansas. Insegna alla Stanford University. Ha lavorato per molti anni come autrice musicale freelance e barista. I suoi saggi sono apparsi su «The Threepenny Review», «The Paris Review» e altre pubblicazioni, su argomenti che spaziano dall’America del XVII secolo alle sue memorie personali. Vive a Monterey, in California, con sua moglie e il loro cane. Cavalli elettrici è il suo primo romanzo.

Giada Diano si è laureata in Lingue e letterature straniere presso l’Università di Messina. Ha condotto un dottorato di ricerca in studi inglesi e angloamericani presso l’Università di Catania e ha collaborato con la City Lights di San Francisco come traduttrice. Ha dato vita a un’associazione culturale (‟Angoli corsari”) che si occupa di promuovere eventi culturali nel Sud. E’ traduttrice per l’Italia di Ferlinghetti e sua biografa ufficiale. Per Clichy ha tradotto anche Nomadland, il successo di Jessica Bruder dal quale è stato tratto il film vincitore del premio Oscar nel 2021.

In genere quando parliamo di letteratura “western” siamo abituati a romanzi ambientati in tutt’altro periodo (soprattutto tra fine ‘800, subito dopo la Guerra Civile Americana, e la prima metà del secolo successivo). Questo è un ovest in parte inatteso, in un periodo di grande fermento e costruzione per gli Stati Uniti. Come mai la scelta della fine degli anni ’50?

S. In parte ho scelto questo periodo proprio perché è inaspettato e dall’altro perché è un modo di guardare al passato per poter guardare al futuro. Perché il western come genere letterario ha questo aspetto fantastico, questa caratteristica tipicamente americana.

C’è poi un motivo storico. In quel periodo particolare in California, le grandi città come San Diego e Los Angeles stavano ancora assumendo quell’aspetto particolare, un po’ tentacolare e disseminato che conosciamo adesso, per cui ad esempio Muriel e Lee possono ancora andare a San Diego e trovare della terra vergine da acquistare con molte opportunità.  Soprattutto dopo la Seconda Guerra Mondiale, in zone dove adesso ci sono solo centri sportivi o centri commerciali, c’erano molte opportunità di trovare lavoro, soprattutto nei cantieri navali, per cui molte persone finirono per rimanerci.

I personaggi di questo romanzo sono tutti in bilico, tutti alla ricerca di qualcosa o di qualcuno. I temi trattati sono molti, e alcuni inattesi, come il gioco d’azzardo e l’omosessualità. Su questo tema in particolare vorrei chiederti una cosa. Considerando che siamo alla fine degli anni ’50, si parla appunto nel libro di alcuni episodi di aggressione e del fatto che Julius non potesse esternare assolutamente i suoi sentimenti per Henry, ad esempio. E poi invece, quasi all’improvviso, vediamo Muriel lasciarsi andare ad un rapporto extraconiugale con un’altra donna quasi senza pensarci troppo. Questo contrasto è voluto? E’ una libertà che credi fosse possibile 50 anni fa?

S. Questa è una domanda molto interessante. Devo dire che da parte mia c’è molta speculazione su questi temi dal momento che, in quanto non è possibile avere un quadro completo, perché è vero che rispetto a quel periodo e a come doveva essere vivere l’omosessualità ci sono dei racconti e ci sono anche dati storici, ma non c’è un quadro completo. In parte il mio obiettivo nello scrivere questo romanzo era quello di inserire all’interno della storia questi personaggi poiché è inevitabile pensare che ci fossero relazioni sia extraconiugali che relazioni omosessuali in città come San Francisco e New York, probabilmente alcune anche non segrete. Quindi c’è in questo romanzo la volontà di dimostrare l’esistenza di queste persone opponendosi al fatto che era una esistenza che voleva essere negata.

Sicuramente ci si può rifare alla prima domanda, quando si parlava di personaggi in bilico e in cerca di qualcosa o qualcuno e in questo c’è la percezione dell’ovest come luogo mitologico, luogo di fantasia e come frontiera di equilibrio tra quello che è conosciuto e quello che non lo è. E’ importante per questi personaggi andare a ovest e soddisfare questa ricerca mitologica per trovare la propria dimensione e per trovare quello che cercano, in particolare l’amore.

Uno dei grandi protagonisti di questo libro, almeno secondo noi del gruppo, è la musica. Abbiamo fatto anche una playlist condivisa su Spotify con le canzoni che ci venivano in mente leggendo. Anche quando non se ne parla, c’è. Sembra di sentirla. Se questo romanzo diventasse un film quale sarebbe la sua colonna sonora?

S. E’ una domanda divertente. In realtà sono molto interessata a sapere cosa a voi è venuto in mente leggendo il libro. In generale questo è un periodo particolare per le prime canzoni di Elvis Presley e per una sorta di genere di country western ma si crea un contrasto con la musica pop, un po’ più moderna, che parla di storie d’amore e di storie di relazioni a ribadire il contrasto tra la vita ordinaria e quella non ordinaria.

Nel libro si parla di personaggi che cercano una sorta di trasgressività. Si può comunque considerare un libro sulla famiglia?

Shannon. Assolutamente direi che è un libro che parla anche della famiglia. In particolare per me sono importanti due relazioni. Quella fra un uomo e una donna, tra Julius e Muriel, che è di sicuro una amicizia inusuale con connotati erotici, pur non sfociando in una relazione amorosa. Julius e Muriel riconoscono l’uno nell’altro qualcosa di nuovo di cui forse non hanno avuto esperienza fino ad allora. E poi c’è il rapporto tra due fratelli, molto importante da indagare perché volevo capire effettivamente come un uomo come Lee avrebbe potuto reagire nel capire quelle cose che pian piano viene a scoprire di Julius.

Quali sono le motivazioni della scelta del titolo e della sua traduzione in italiano?

S. Il titolo in inglese è in realtà una citazione dal libro di Isaia per la volontà di richiamare anche quell’aspetto semantico che rimanda a molti aspetti religiosi presenti nel libro lasciando spazio sia alla teologia sia a una interpretazione personale. I cavalli … da un lato il cavallo è una creatura reale che appartiene al mondo delle cose, dall’altro è un’idea astratta che richiama la mitologia del west di cui il cavallo è il simbolo per eccellenza.

G. Sul perché, insieme a Franziska di Clichy, di andare su Cavalli elettrici, abbiamo fatto questa scelta per richiamare questo periodo di fermento e soprattutto il senso dell’eccitazione, questa sorta d’energia che spinge i personaggi a viaggiare alla ricerca di una propria dimensione.

Leggendo abbiamo notato il grande lavoro di traduzione. Ci sono molti tecnicismi nel testo, parole legate al gioco d’azzardo, alle corse dei cavalli ma anche costumi tipici e frasi idiomatiche. Hai scelto di ricorrere all’utilizzo di molte note a piè di pagina. Ci chiedevamo come fosse stato tradurre questo libro e perché appunto la tua scelta delle note.

G. E’ stato uno sforzo di traduzione notevole soprattutto per tutti quegli aspetti che tu notavi: ci sono tanti campi semantici molto specifici, per esempio tutti i modi con cui si possono truffare i casinò, per cui veramente in alcune sezioni del libro è stato davvero difficile ma perché era un mondo a me sconosciuto. Però è stato molto interessante. Ma per me la cosa ancora più difficile, può sembrare strano, è stata quella dei dialoghi. Il tentativo di rendere un po’ le voci di questi personaggi, che sono delle voci estremamente riconoscibili, soprattutto nel caso di Julius e Muriel, nel momento in cui esprimono un sentimento d’amore che in quel momento non può essere espresso … specialmente Muriel sembra dover inventare un nuovo linguaggio per esprimere questo sentimento ed è stato difficile trovare le sfumature giuste per renderlo in lingua italiana.

Tendenzialmente cerco di evitare le traduzioni a piè di pagina perché le ritengo qualcosa che appesantiscono e distraggono la lettura, però ritengo che la traduzione sia anche mettersi a tacere per far parlare l’autore attraverso di te. Quindi cerco, per rispetto dell’autore, di evitare le forzature di traduzione o dei giochi di parole o perifrasi che si staccano troppo dall’originale, preferisco fare io un passo indietro e ricorrere alle note.

Ho avuto l’impressione che oltre ai giochi espliciti, come le corse dei cavalli e delle carte, ci fosse nel libro un gioco sottinteso, come una sorta di caccia al tesoro. Sono rimasta molto impressionata per esempio dalla ricerca attraverso i bigliettini attraverso luoghi di confine. E’ possibile vedere nella trama una grande caccia al tesoro?

S. Mi piace molto questa interpretazione. La parte della ricerca è stata per me la parte più divertente. A quei tempi, dove non c’era a disposizione la tecnologia di cui disponiamo ora, le persone dovevano cercarsi e trovarsi in un modo che ho dovuto inventare. Mi piace pensare che ci sia una sorta di caccia al tesoro sia letterale sia in senso astratto: questi personaggi vanno alla ricerca di qualcosa che li arricchisca e per raggiungere questo qualcosa devono fare affidamento alla loro riserva di buona opportunità e buona fortuna.

Mi ha un po’ sorpreso il concetto di casa. Per quello che ho letto, nella conquista del West, si tratta per lo più di persone che abbandonano un posto non più profittevole per migliorare altrove. Muriel è invece molto attaccata alla sua casa di origine mentre Lee, al contrario, vuole trovare e comprare una casa nuova. 

S. Penso che l’attaccamento di Muriel alla casa di sua madre sia non tanto reale quanto qualcosa di astratto, è più un rimanere legata alla libertà che sua madre rappresentava. Forse quello di avere un posto fisso è più un desiderio di Lee che vuole colmare la mancanza di una casa fin da quando era bambino. E’ questa un’idea tipicamente americana che per avere successo devi avere una certa stabilità e quindi questo successo si concretizza nel possedere.


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Alcuni materiali di approfondimento (elenco completo per gli iscritti al bookclub):

 Intervista all’autrice su NPR: https://www.npr.org/2019/11/02/775664449/on-swift-horses-shannon-pufahl-s-celebration-of-her-grandmother 

Internazionale (tr. it. della recensione del NYT): https://edizioniclichy.it/wp-content/uploads/2021/09/Internazionale-Cavalli-elettrici-03-09-2021.pdf 

Critica letteraria.org: https://www.criticaletteraria.org/2021/07/Cavalli-elettrici-Shannon-Pufahl-Clichy.html

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