L’accordo per il “Nuovo Medio Oriente”

di Leonardo Parisi, Junior Fellow del Centro Studi Americani

Lo scorso 15 settembre alla Casa Bianca il Presidente Donald Trump ha co-firmato un nuovo accordo storico, denominato “Accordo di Abramo”, suggellato in tre copie da Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein e considerato dal Presidente statunitense come «alba di un nuovo Medio Oriente».

Il patto, stilato in tre lingue diverse, quali inglese, arabo ed israeliano, è stato firmato dal Ministro degli Esteri del Bahrein Abdullahtif Al Zayani, dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, dal Presidente Trump e dal ministro degli Esteri emiratino Abdullah bin Zayed.

Grazie alla stipula si è così ottenuta una totale normalizzazione delle relazioni tra i tre Paesi, con la sottoscrizione di accordi volti a collocare ambasciate nei rispettivi territori e a cooperare in materie quali turismo, commercio, assistenza sanitaria e sicurezza, all’interno di una nuova cornice di relazioni amichevoli. Israele e gli Emirati hanno già iniziato i viaggi aerei commerciali tra i rispettivi Paesi. Il Bahrain ha inoltre aperto il suo spazio aereo alle compagnie israeliane. Gli Stati del Golfo si aggiungono così a Egitto, Giordania e Mauritania nel riconoscere e a stabilire relazioni diplomatiche formali con Israele.

Due temi importanti da tener presente nella contestualizzazione dell’accordo sono certamente la questione securitaria e quella palestinese.

Per quanto concerne il primo, dietro il processo di avvicinamento vi è la consapevolezza di una crescente instabilità regionale. Al generale senso di diffidenza, che contribuisce ad acuire le tensioni tra gli Stati mediorientali, si sono uniti il timore nei confronti dell’Iran, considerato un nemico comune, e la mancanza di una politica condivisa in materia di sicurezza. L’amministrazione Trump ha difatti sempre sostenuto di voler scuotere la regione avvicinando Israele ai suoi vicini arabi in un’unione di interessi contro l’Iran. Inoltre, a spingere i Paesi del Golfo verso Israele, vi è certamente stata anche la politica di disimpegno adottata dagli Stati Uniti nella regione, che, in caso di vittoria di Trump, verrà con ogni probabilità portata avanti.

Per quanto riguarda il secondo tema, concernente la “questione palestinese”, il preambolo all’accordo firmato tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein, ribadisce «l’impegno a collaborare per trovare una soluzione negoziata al conflitto israelo-palestinese che incontri le esigenze e le legittime aspirazioni di entrambe le parti, avanzando una pace comprensiva nel Medio Oriente». È importante sottolineare al riguardo il ribaltamento del principio che aveva finora guidato ogni discorso intorno al conflitto tra israeliani e palestinesi: «Non può esserci normalizzazione dei rapporti tra mondo arabo e Israele senza prima stabilire uno Stato palestinese nei confini del ‘67». Ora, alcuni Paesi arabi hanno deciso di invertire l’ordine dei fattori: secondo la nuova dottrina, sarà la normalizzazione del mondo arabo con Israele, la sua accettazione come parte integrante del Medio Oriente e come alleato strategico e partner economico, a portare una risoluzione del conflitto.

I dissensi, tuttavia, non sono tardati a farsi sentire: la “visione per la pace” presentata nel gennaio scorso da Donald Trump per mettere fine al conflitto israelo-palestinese è tutt’altro che vicina ad una svolta. I palestinesi hanno denunciato «di essere stati pugnalati alle spalle» da quei Paesi che sono venuti a patti con lo Stato ebraico senza aspettare la nascita di uno Stato palestinese ed hanno immediatamente manifestato il loro dissenso per quello che definiscono un «giorno oscuro» per la storia del mondo arabo.

Dal canto loro, gli EAU e il Bahrein continuano a sostenere che grazie a questo nuovo accordo potranno avere più influenza su Israele, come ha dimostrato la sospensione dell’annessione di parte della Cisgiordania, conditio sine qua non posta dai Paesi del Golfo per procedere con l’istituzione dei rapporti diplomatici.

Ḥamās, organizzazione palestinese di carattere politico e paramilitare, considerata da diverse nazioni come terroristica, non ha tardato a far sentire il proprio dissenso: durante la cerimonia presso la Casa Bianca, nelle case israeliane il discorso del Ministro degli Esteri emiratino Abdullah bin Zayedè stato interrotto dalle sirene. Ḥamās ha fatto sentire in diretta il proprio dissenso, lanciando diversi missili su Ashdod, 30 km a nord della Striscia di Gaza. Le cittadine di confine sono state colpite tutta la notte, riportando 13 feriti e all’alba l’esercito israeliano ha risposto bombardando alcune infrastrutture dell’organizzazione.

Inoltre, a seguito della condanna iraniana nei confronti del Bahrein per la normalizzazione dei rapporti con Israele, il Ministro dell’Interno del Bahrein ha segnalato che le forze di sicurezza hanno sventato piani di un attacco terroristico su obiettivi pubblici e militari sostenuti dal Corpo della Guardia Rivoluzionaria Islamica iraniana. Il Ministero ha dichiarato che una cellula chiamata “Brigata Qassem Solemaini” ha pianificato l’assassinio di «personalità importanti» nel Paese, scoprendo inoltre un deposito di esplosivi nella zona di Badei.

Tali avvenimenti sono purtroppo la dimostrazione che il “Nuovo Medio Oriente”, inaugurato a Washington, non potrà voltare pagina così facilmente rispetto alle dinamiche ed alle problematiche che quest’area ha conosciuto finora. 

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