L’assalto a Capitol Hill e la solitudine della polizia

di Roberto Cornelli, Professore Associato di Criminologia, Università di Milano-Bicocca

Un fatto senza precedenti, un atto di insurrezione, un attacco alla democrazia. Mentre il Congresso americano procede con la convalida della vittoria di Biden e sui media americani si discute delle responsabilità di Trump e della sua possibile rimozione (a cui lo stesso Trump sembra voler sfuggire in extremis dichiarando di voler assicurare un passaggio ordinato dei poteri a Biden), le immagini dei servizi di sicurezza americani scatenano un’ennesima polemica sul sistema di polizia americana, già al centro di un dibattito che, a seguito della morte di George Floyd a Minneapolis, aveva preso la strada di una contestazione radicale sintetizzata nello slogan “defund the police”.
Gli elementi di contestazione, in estrema sintesi, sono due. Da un lato l’esiguità di agenti a fronte di una insurrezione in qualche modo “annunciata”; dall’altro lato la condiscendenza degli agenti nei confronti dei manifestanti, al punto da ritenere che la situazione sarebbe stata ben diversa se questi ultimi fossero stati sostenitori dei diritti civili o appartenenti a minoranze etniche.
Mi pare che, fatte salve le indagini interne e giudiziarie che immagino riguarderanno singoli episodi (tra cui la tragica morte di una donna durante l’invasione del Campidoglio), occorra evitare di cadere nella semplicistica logica binaria che interpreta ogni azione di polizia come segnata dal pregiudizio razziale. Beninteso, il problema statunitense della police brutality connesso a un razzismo sistemico e di lunga data esiste, è rilevante e non va minimizzato. Ne ho discusso lungamente nel mio recente volume La forza di polizia. Uno studio criminologico sulla violenza (Giappichelli, 2020). Ma in questo caso penso non sia utile ridurre la debolezza dei servizi di sicurezza a difesa di Capitol Hill a un atteggiamento radicato e profondo di discriminazione verso le minoranze e di benevolenza verso i bianchi.
Le questioni in gioco mi sembrano altre.
Le oche del Campidoglio, per usare una metafora classica, è da tempo che avvisavano della fragilità del sistema democratico americano sotto l’amministrazione Trump. E come sempre accade quando si verifica un collasso dell’ordine (che, in questo caso, si sarebbe potuto evitare se ci fosse stata meno pavidità, anzitutto da parte di esponenti repubblicani vicini a Trump), rimane sulla scena la polizia, che è l’istituzione chiamata a intervenire quando sta accadendo qualcosa che non dovrebbe accadere e per cui occorre fare qualcosa subito. Tanto nei fatti della vita quotidiana quanto in episodi di sommosse e insurrezioni. Rimane sulla scena e deve agire in modo da risolvere la situazione, riportando tutto alla normalità.
In questa semplice ricostruzione del compito fondamentale della polizia, si scoprono alcune criticità di quanto accaduto ai servizi di sicurezza durante l’assalto a Capitol Hill.
Il sistema delle polizie non costituisce un’autorità indipendente: in ogni Paese, anche in quelli democratici, dipende dai governi (nazionali e locali, spesso in un’articolazione di poteri peculiare per ogni Paese). Questo significa che l’allocazione dei servizi di polizia, anche nei casi di maggiore professionalizzazione e autonomia, è sensibile alle volontà politiche e, in alcuni casi, ne dipende direttamente. Decidere di non rafforzare i servizi di sicurezza schierando la Guardia nazionale è stata una decisione politica netta (tra l’altro, evidenziata nel momento in cui, ancora dopo ore di assedio e bivacco nel Campidoglio, vista la riluttanza di Trump, è stato il Vice-Presidente Pence a firmare l’atto di dispiego della Guardia nazionale).
Una decisione che ha lasciato sola e isolata la polizia presente a Capitol Hill, privandola di mezzi adeguati a contrastare ciò che stava accadendo e senza poter contare su un supporto che potesse intervenire da altre direzioni (come sempre accade nella gestione dell’ordine pubblico) per disperdere i manifestanti.
Ma anche una decisione di per sé fortemente confusiva.
Proviamo a metterci nei panni di chi deve gestire la sicurezza di un’istituzione democratica come il Congresso americano e che si trova di fronte un gruppo di sostenitori del Presidente attualmente in carica. Un Presidente che li definisce speciali e patrioti. Un Presidente che non schiera la Guardia nazionale e che quindi si suppone sappia che quella manifestazione di suoi sostenitori rimarrà dentro i canoni della legalità. Un Presidente di un sistema politico la cui concezione di sicurezza nazionale si è costruita negli ultimi vent’anni sulla difesa da attacchi esterni e da atti di terrorismo interno e non su atti di insurrezione popolare, tanto meno provocati dalle parole dello stesso Presidente. Nonostante i vertici del sistema di sicurezza avrebbero dovuto sapere e prepararsi al peggio (le oche hanno starnazzato anche poche ore prima dell’assalto), evidentemente la polizia presente a Capitol Hill è rimasta prima confusa, poi disorientata e dunque impreparata di fronte a quanto stava accadendo. Una confusione e un disorientamento creati ad hoc, probabilmente. Certamente un’impreparazione funzionale alla realizzazione di un atto politico eversivo che, con un minimo di organizzazione, avrebbe potuto essere contrastato senza grosse difficoltà.
Fatto sta che le immagini di poliziotti che tentano di impedire l’accesso nelle sale del Campidoglio, le pistole puntate ad altezza uomo da parte di agenti assediati dai manifestanti e la stessa tragica morte di una donna colpita da un proiettile segnalano la drammaticità di agenti lasciati soli più che la loro benevolenza verso i manifestanti. Altre immagini, quelle di poliziotti che lasciano passare i sostenitori di Trump, abbandonando la postazione una volta che si accorgono che i manifestanti sono ormai ovunque, anche dietro di loro, sono ulteriori conferme di questa solitudine, che assume i toni di una condivisibile riduzione del danno: che avrebbero dovuto fare questi agenti, sparare ad altezza uomo? Rischiare la propria vita? Mettere a repentaglio la vita di tutti?
Sarà che mi occupo di polizie da tanti anni e che ho imparato ad assumere uno sguardo critico e sensibile alle sfumature, ma mi pare che la solitudine della polizia durante l’assalto a Capitol Hill sollevi un tema politico che, questa volta, non riguarda tanto la polizia, la sua organizzazione e la sua cultura professionale, quanto direttamente l’Amministrazione Trump.

https://www.sistemapenale.it/it/opinioni/cornelli-assalto-capital-hill-polizia

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