Prove di disgelo Usa-Cina. Ma è scontro su Taiwan, diritti umani e commercio

di Giorgio Catania, Junior Fellow del Centro Studi Americani

Non c’è stato un vero e proprio disgelo ma piuttosto un primo vero passo verso l’apertura di un dialogo. La video-conferenza – durata oltre tre ore – è stata la prima vera occasione di confronto tra Biden e Xi Jinping, dopo la clamorosa defezione della Cina ai grandi appuntamenti multilaterali come il G20 a Roma e la Cop-26 a Glasgow.

Nonostante i numerosi dossier a dividere le agende di Stati Uniti e Cina, i due leader hanno annunciato un’intesa per allentare le restrizioni sui visti dei giornalisti stranieri che operano nei rispettivi paesi. Una mossa che mira a stemperare il conflitto diplomatico che aveva portato all’espulsione di alcuni reporter americani dalla Cina durante l’ultimo anno dell’amministrazione Trump. Washington e Pechino sanno bene che senza collaborazione determinate sfide globali non possono essere vinte. La più pressante è il clima. Per questo sul tema si è aperto il primo vero spiraglio di collaborazione tra i due paesi: la Dichiarazione Congiunta fatta a margine della Cop26, che prevede impegni per la riduzione delle emissioni di metano, la protezione delle foreste e l’uscita graduale dal carbone.

Ma quali sono i dossier più spigolosi su cui hanno discusso i due leader?  

TAIWAN E DIRITTI UMANI

Joe Biden ha sottolineato che Washington non accetterà mosse unilaterali che cambino lo status quo dell’isola. Uno status quo che la Cina vorrebbe cambiare radicalmente. Lo dimostrano le numerosissime sortite di caccia e bombardieri cinesi che dall’inizio di ottobre hanno ripetutamente violato lo spazio di difesa aereo di Taipei. Immediata è stata la reazione degli Stati Uniti, che hanno rafforzato la vendita di armi a Taiwan, nel quadro del Taiwan Relations Act. Questa legge, adottata dal Congresso Americano nel 1979, prevede che Washington si impegni a riconoscere il principio “una sola Cina” ma allo stesso tempo a fornire a Taiwan le armi per la sua autodifesa. Dal canto suo Xi Jinping ha definito “irrinunciabili ed inevitabile” la riunificazione di Taiwan alla Cina continentale, sottolineando come cercare l’indipendenza dell’isola significhi “giocare con il fuoco”.

Non poteva mancare un confronto serrato sul tema dei diritti umani. L’inquilino della Casa Bianca ha espresso profonda preoccupazione per la costanza violazione dei diritti umani nella regione uigura dello Xinjiang, nel Tibet e ad Hong Kong. Ciò, secondo il Wall Street Journal, sarebbe alla base del probabile boicottaggio diplomatico statunitense delle prossime Olimpiadi Invernali di Pechino. Come ribadito da Biden a Xi, gli Stati Uniti – insieme ai loro alleati – continueranno a difendere e promuovere non soltanto i propri interessi ma anche i propri valori. Di qui la decisione di battersi per la costruzione di un sistema internazionale libero ed aperto, dove globalizzazione delle merci e globalizzazione dei diritti vadano di pari passo. A tal proposito, il coinvolgimento di Taiwan nel prossimo Summit delle Democrazie (che si terrà a dicembre a Washington) rappresenta un segnale molto importante.

Ma perché Taiwan è così importante? Riconquistare il controllo dell’isola è uno degli obiettivi che Pechino ha delineato in vista del 2049, quando il Paese festeggerà i 100 anni dalla fondazione della Repubblica Popolare. È una questione di orgoglio ed integrità nazionale oltre che di espansione geopolitica, per un attore che mira a diventare la prima potenza mondiale. Taiwan viene considerata come una minaccia ideologica in quanto rappresenta una “Cina alternativa”, dotata di un modello politico-sociale completamente diverso: è una Repubblica Democratica e non un sistema a partito unico.

Per gli Stati Uniti, invece, Taiwan è cruciale per la strategia di contenimento marittimo ai danni della Cina. Costituisce un avamposto per impedire alla Cina di ottenere il dominio sui mari, di cui gli Stati Uniti sono i padroni attuali.

E poi una questione “pratica”. Grazie alla sua TSMC, Taiwan è il principale produttore al mondo di microchip, componenti fondamentali per industrie come quelle dell’elettronica e delle automobili. È dunque indispensabile per le ambizioni economiche-tecnologiche sia della Cina che degli stati Uniti e si inserisce all’interno della guerra tecnologica tra i due colossi.

COMMERCIO

Joe Biden ha aspramente criticato la Cina, parlando di pratiche commerciali “scorrette ed inique” che – secondo l’amministrazione USA – stanno danneggiando l’economia americana ed impedendo una competizione equilibrata tra i due colossi. Come era prevedibile, Biden non si è distaccato dall’impostazione Trumpiana nell’ambito dei rapporti commerciali con la Cina. Il contrasto ed il contenimento di Pechino è infatti uno dei punti chiave su cui Democratici e Repubblicani condividono una linea comune. La strategia prevede dazi sulle importazioni e pressioni sulla Cina perché rispetti l’accordo commerciale di “fase uno” USA-Cina. Questo accordo, firmato a gennaio 2020 e valido fino al prossimo 31 dicembre, intima a Pechino di colmare il deficit commerciale con Washington, correggendo pratiche scorrette ed incrementando l’acquisto di beni e servizi dagli Stati Uniti. Tuttavia, stando ai dati ufficiali la Cina ha finora acquistato solo 3/5 del totale. Tutto questo si ripercuote sui mercati, considerando che i dazi americani colpiscono tuttora ben 370 miliardi di prodotti made in China.

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