Indirizzo di saluto del Presidente Gianni De Gennaro al Transatlantic Forum

Indirizzo di saluto del Presidente Gianni De Gennaro in occasione dell’evento “Transatlantic Forum: the future of the West. One year into the war: the aftershocks of Russia’s war against Ukraine” che si è tenuto lo scorso 6 marzo al Centro Studi Americani.

Sono trascorsi otto anni da quando insieme ad Aspen abbiamo immaginato la prima edizione di questo Forum.

Era il mese di febbraio del 2015 e da pochi mesi la Russia aveva annesso la Crimea, aprendo così una frattura negli equilibri europei.

Il nostro obiettivo era quello di ospitare in un luogo neutro, quale può e deve essere un istituto culturale, un dibattito che, da un lato desse concreta rilevanza allo “spazio transatlantico” e, dall’altro, consentisse un confronto aperto e costruttivo con esperti provenienti dalla Russia.

Oggi, dopo otto anni, aprendo il nostro Forum, dobbiamo prendere atto che quella “frattura” si è trasformata in una drammatica “rottura” e ha dato vita a un cruento conflitto militare sul suolo europeo.

Esattamente 1910 anni fa, nel 113 dopo Cristo, più o meno in questo periodo dell’anno, a poche centinaia di metri dal luogo in cui ci troviamo, l’imperatore Traiano inaugurava la Colonna che porta il suo nome per celebrare la conquista della Dacia. La Dacia, secondo la nomenclatura geografica dell’epoca, corrispondeva grosso modo all’odierna Ucraina e Romania. Se aggiungiamo a quella della Dacia anche la conquista dell’Armenia, dell’Assiria e della Mesopotamia, vediamo l’Impero Romano raggiungere la sua massima estensione, quasi 5 milioni di km quadrati.

Traiano, l’Optimus Princeps, passò alla storia come uno dei migliori imperatori e la Colonna che porta il suo nome è ancora lì a testimoniare, con i suoi fregi scolpiti nel marmo, alcuni dei momenti più salienti di quella espansione territoriale.

Il tema del nostro dibattito odierno recita “the future of the West”, ci interroghiamo dunque su quale sarà il futuro dell’Occidente. Vorrei allora provare a trovare una risposta, prendendo ispirazione dal passato e in particolare dal modello romano che, basandosi sulla tolleranza verso le altre tradizioni e religioni, ha fatto della diversità culturale il proprio asse portante.

Il 20 gennaio 2001, George W. Bush, nel suo discorso di insediamento disse:

L’America non è mai stata unita per ragioni di sangue, di nascita o di territorio. Noi siamo legati da valori di fondo che ci muovono al di sopra della nostra quotidianità, ci sollevano al di sopra dei nostri interessi, ci insegnano cosa vuol dire essere cittadini. Ogni cittadino deve sostenerli. E ogni immigrato, attraverso la condivisione di questi ideali rende il nostro Paese più e non meno americano.

In altri termini, un principio simile a quello che ha ispirato il più grande e duraturo impero della storia: “Civis Romanus sum”.

E allora, per guardare al futuro, mi chiedo se non sia giusto partire da queste nostre radici e dalla capacità che l’Occidente ha avuto di attrarre e assorbire popoli diversi, pur mantenendo sempre le loro peculiarità che, comunque, arricchiscono l’insieme.

Perché questo accada, però, dobbiamo guardare all’Occidente, non come spazio geografico ma come idea di civiltà e l’Europa può avere in questo caso un ruolo determinante, perché ormai si è in Occidente tanto a Tokyo, quanto a Seul o a Gerusalemme o a Kiev.

Non dobbiamo al contempo trascurare un’altra grande eredità che il mondo romano ci ha lasciato: la libertà, sia essa libertà dalla dominazione straniera ovvero libertà politica o infine libertà individuale, quella che ci consente di vivere come vogliamo, purché non si danneggi nessun altro.

La libertà è un valore fondamentale e su di essa si basa anche il nostro modello politico, economico e sociale dal momento che la libertà di fare impresa e di scambiare con il resto del mondo è un elemento essenziale per lo sviluppo delle nostre società.

Arriviamo così alla tragica invasione russa dell’Ucraina: una guerra con chiari risvolti strategici, con un’importanza culturale e una valenza storica sicuramente rilevante.

E chissà se non sarà proprio questa guerra a rappresentare una inaspettata, pur se deprecabile, occasione per riflettere su chi siamo, su chi vogliamo essere e soprattutto su come poterci ricompattare.

L’Ucraina ci sta impartendo una grande lezione: che la libertà, pur essendo un sacrosanto diritto, non è però scontata e che la libertà è una conquista che tutti abbiamo il dovere di difendere.

Perché ciò accada è necessario però poter contare su un forte sistema di sicurezza e di difesa.

I Romani consentivano ai loro cittadini di vivere in pace e di prosperare grazie ai 360 mila legionari che l’Impero manteneva. Oggi noi abbiamo uno strumento altrettanto costoso ma sicuramente più efficace: l’Organizzazione del Trattato Atlantico del Nord, la NATO, sempre più moderna ed efficace nelle sfide. Teniamocelo da conto e confidiamo sul suo prezioso aiuto per la difesa dei nostri valori.

Oggi, con questo nostro convegno, cerchiamo di capire come poter immaginare il futuro dell’Occidente.

Io mi permetto di osservare che per farlo non dobbiamo perdere di vista il passato, perché solo conoscendo la nostra storia, abbiamo forza sufficiente per costruire il nostro futuro.

Il dovere di tutti noi, e soprattutto di quanti di noi rivestono responsabilità nei vari settori politici, economici e sociali, è quello di consentire alle nuove generazioni che si affacciano al mondo di avere fiducia nel loro futuro, perché come è scritto nel libro del Qoelet: “Una generazione va,  una generazione viene, ma la Terra resta sempre la stessa.”

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